Bombardamento mediatico

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    Chi controlla i media oggi, controlla il potere. Questa frase fatta, recitata più volte da sedicenti profeti della contro-informazione a tutti i costi, assume oggi una veridicità ancora maggiore. Se Al-Qaeda “attacca” con filmati propagandistici diffusi sul web, gli Usa reclutano specialisti per adeguarsi al confronto mediatico, e cosi dopo aver spedito decine e decine di migliaia di soldati al fronte, l’amministrazione Bush invierà a breve sociologi, antropologi e uomini di comunicazione. In Iraq come in Afghanistan, ovviamente…

    Soldati americani, inglesi, danesi attestati in remoti avamposti. Guerriglieri che preparano agguati lungo strade appena tracciate. Sparatorie, incursioni, bombe rudimentali e mezzi sofisticati. Il conflitto afghano, così come quello in Iraq, va in rete. Su Internet circolano decine di video girati dai protagonisti della battaglia. Alcuni sono davvero amatoriali, altri più sofisticati. Molti dei filmati dei ribelli recano il logo di «As Sahab» (la nuvola), la società di distribuzione qaedista. Il marchio si è fatto un nome rilanciando i video dei capi di Al Qaeda, ma la vera specialità sono i brevi documentari su talebani e combattenti arabi. Diverse clip hanno anche i sottotitoli in inglese in quanto devono raggiungere spettatori (soprattutto in Europa) che sono di fede islamica però conoscono poco l’arabo. I filmati dei mujaheddin hanno a volte una colonna sonora con canti guerreschi o invocazioni religiose. I soldati alleati, invece, inseriscono musica rock, temi dei rapper. Le formazioni che si ispirano al qaedismo e quelle jihadiste mediorientali hanno deciso da tempo di investire nella propaganda. Già nel 2000 Osama Bin Laden, in una lettera al mullah Omar, capo dei talebani, sottolineava come la battaglia con il nemico dovesse concentrarsi sull’informazione. In netto ritardo gli americani. Il Pentagono è ricorso all’arma della propaganda ma secondo molti esperti non è stata efficace. Per tanto negli ultimi mesi si è deciso di investire maggiori risorse e inserire sul campo personale più preparato. Sociologi, antropologi ed uomini di comunicazione dovranno aiutare i soldati a contrastare l’influenza della guerriglia. In Iraq come in Afghanistan.

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