Irak: la fuga degli “infedeli”

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    Per migliaia di anni, popoli di ogni religione e provenienza hanno vissuto nella terra tra il Tigri e l’Eufrate, costruendo città e santuari che hanno resistito a secoli di guerre e invasioni e facendo dell’Iraq la culla delle civiltà più antiche. Questo fino al 2003. Dall’inizio dell’operazione Iraqi Freedom a oggi le minoranze irachene, che costituiscono circa il 10 percento su una popolazione di 26 milioni di abitanti, hanno subito minacce sempre più forti che hanno spinto gran parte di loro a lasciare il paese. Strano parallelismo, mentre alcune di queste minoranze rischiano l’estinzione, l’Iraq sta avviandosi lungo il “luminoso” sentiero della democrazia…

    Infedeli. Secondo l’alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati, Unhcr, il 30 percento delle persone che hanno deciso di lasciare il paese per mettersi in salvo dalle violenze settarie, circa un milione e ottocentomila persone, appartengono alle cosiddette minoranze. Alcuni gruppi, come cristiani ed ebrei, sono stati presi di mira perché assimilati agli occidentali e sospettati di collaborare con gli invasori. Sotto Saddam i cristiani godevano della protezione del regime che, allo stesso tempo, opprimeva la maggioranza sciita, cui appartengono quelle milizie o ‘squadre della morte’, responsabili di buona parte delle violenze settarie. I cristiani iracheni: copti, assiri, ortodossi, caldei, assiri e cattolici hanno resistito nel paese per duemila anni. Non sono fuggiti nemmeno di fronte all’invasione islamica del 700 e a quella mongola del 1200 ma, di fronte alle autobombe e ai rapimenti, buona parte della popolazione cristiana ha scelto l’esilio. I sequestri sono stati un flagello anche per la comunità ebraica e quella dei Mandeani –una delle più antiche sette gnostiche che considera profeta Giovanni Battista- che sono state prese di mira perché ritenute benestanti. Il 90 percento degli Ebrei e Mandeani rapiti dal 2003 erano orafi e gioiellieri. Nel 2003 gli ebrei iracheni erano alcune centinaia, oggi sono rimasti solo in 15.

    Mancata protezione. Secondo un altro studio intitolato Assimilazione, esodo, sradicamento: le comunità irachene dal 2003, scritto dal giornalista Preti Taneja, la metà delle persone appartenenti alle minoranze irachene ha già lasciato il Paese. Tra i gruppi in fuga bisogna citare anche quelle comunità che erano perseguitate anche quando Saddam era al potere: curdi e scitti soprattutto, ma anche confessioni minori come quella degli Yazidi, una setta dello zoroasrtrismo insediata nel nord dell’Iraq da quattromila anni e perseguitata dagli arabi che consideravano i suoi fedeli ‘adoratori del diavolo’. Oltre a loro stanno lasciando il paese in massa anche molte altre tra le minoranze, anch’esse perseguitate prima della guerra ma in gravissimo pericolo anche oggi: i turcomanni e gli shabaki, i curdi della setta sciita dei Feyli e i fedeli del culto sincretico dei Baha’i. Per i membri di queste comunità, in un contesto dominato dalla violenza e dal radicalismo religioso dei gruppi armati sciiti e sunniti, le alternative sono la conversione, la fuga o la morte. Né il governo iracheno né le forze della coalizione hanno fatto qualcosa per proteggerli. Solo che a differenza delle comunità sciita, sunnita e curda, che sono protette dalle loro milizie, queste minoranze si sono trovate indifese e minacciate.

    Palestinesi. Un discorso a parte va fatto per i palestinesi, rifugiati in Iraq dal ’48 in avanti. Nel 2003 la comunità palestinese irachena contava 35 mila persone, che sotto Saddam godevano di una protezione speciale. Con la caduta del regime i palestinesi si sono trovati nel mirino delle squadre della morte sciite hanno preso sistematicamente di mira i civili palestinesi spingendo intere famiglie a lasciare le loro case in tutta fretta, per non essere uccise. Oggi i palestinesi rimasti in Iraq sono circa 15mila.

    peacereporter.net