La “guerra occulta”, così come definita e denunciata egregiamente da uomini come J.Evola fino a E.Malinsky, sembra godere ogni giorno di più di ottima vita, radicata com’è ormai in ogni situazione della vita sociale, culturale ed istituzionale della vita moderna.
Uno dei mezzi preferiti da questa, e da quelli che possono essere tranquillamente definiti come i suoi “agenti” (consapevoli o meno, poco importa), è sicuramente il sesso, volgarizzato, insudiciato dalla morbosità dei moderni e quindi reso “commercializzabile”. Non stupisce dunque quando si viene a sapere che Israele utilizza strumentalmente la diffusione di siti ad alto contenuto erotico con il chiaro mezzo di insinuarsi sempre più nelle maglie dei paesi arabi (ove la diffusione dell’hard è quasi totalmente bandita), non solo per finanziarsi ma anche, e soprattutto, per incidere sovversivamente sul piano della loro integrità culturale, religiosa e sociale, vera spina nel fianco per l’ “occidentalizzazione” d’un popolo che ha la colpa di essere ancora oggi quasi integralmente fedele ad una tradizione locale, avversa alla pseudo cultura egualitaria e demoniaca che l’ovest del mondo cerca con la violenza di imporre.
GERUSALEMME — L’annuncio è in arabo. La divisa militare israeliana. I corpi mezzi nudi. «Soldatesse che fanno sesso. Che cosa c’è di meglio?». I clienti che il sito porno Ratuv cerca di invitare stanno al di là di una frontiera considerata invalicabile. Quella tra due Stati nemici e quella del pudore nei Paesi musulmani. «Eppure i visitatori dalle nazioni islamiche sono in crescita » commenta il gestore Nir Shahar al quotidiano Yedioth Ahronoth.
Tra il 2 e il 10 per cento si connette da Arabia Saudita, Tunisia, Egitto, Giordania. Anche dai territori palestinesi, dove quasi l’8 per cento della popolazione accede a Internet.
I navigatori arabi arrivano nelle acque proibite dei siti israeliani non solo perché non esistono pagine pornografiche locali. I produttori come Shahar hanno deciso negli ultimi mesi di girare video che possano attirarli: brevi storie che coinvolgono finti agenti del Mossad, poliziotte, ufficiali e soldatesse. Un annuncio promette filmati con donne che indossano l’hijab, il velo tradizionale (per 19 shekels, poco più di 3 euro). Il più popolare — spiega Shahar — è intitolato Nome in codice: indagine profonda,
una porno-parodia dell’operazione dei servizi segreti per dare la caccia a Mordechai Vanunu, l’ex tecnico nucleare condannato dopo aver rivelato informazioni sul reattore di Dimona. «Abbiamo ricevuto molti messaggi di ringraziamento dagli arabi per le nuove sezioni. Qualcuno ci chiede se le soldatesse dei film prestino davvero servizio nelle forze armate».
La crescita dell’uso di Internet nei Paesi arabi, tra il 2000 e quest’anno, è stata la più rapida al mondo. Il 60 per cento degli utenti vive negli Stati del Golfo, proprio quelli che applicano le restrizioni più rigide. In Arabia Saudita, i navigatori sono invitati a segnalare i siti considerati indecenti perché vengano bloccati dalla polizia. «In molte nazioni musulmane per ragioni politiche non è possibile raggiungere le pagine israeliane. I computer non accettano il “co.il” che identifica i nostri indirizzi web. Così i navigatori trovano le soluzioni tecniche per aggirare i controlli » spiega un gestore. Nel mese scorso, SexV ha ricevuto 2.000 contatti da Riad: il tempo medio passato online da un cliente saudita è 17 minuti e 23 secondi. «Non abbiamo una versione in arabo — spiega il proprietario Gil Naftali, sempre a Yedioth — offriamo foto e videoclip che non hanno bisogno di traduzioni o spiegazioni».
Domina, il più popolare sito erotico in Israele, presenta i contenuti anche in arabo e turco. «Il 10 per cento dei navigatori è di lingua araba» precisa Tzahi, che guida l’operazione. «Israeliani e arabi non comunicano attraverso il sito. Non credo che porteremo la pace con il porno, ma almeno togliamo qualche soldo dalle tasche dei nostri nemici».
I pirati informatici israeliani hanno sempre usato le immagini erotiche nella battaglia digitale con i palestinesi. Dopo un attentato suicida all’inizio della seconda intifada, il sito ufficiale di Hamas era stato attaccato e, al posto degli slogan integralisti, chi si collegava veniva dirottato verso pagine dedicate alle «calde cameriere» di un motel. «Vogliono disonorare l’immagine dell’islam e dei musulmani. Moriranno della loro stessa furia» aveva minacciato Ahmed Yassin. Lo sceicco fondamentalista, assassinato da un missile dell’esercito nella primavera del 2004, aveva accusato i servizi segreti di aver organizzato lo sfregio informatico.
Quando Yasser Arafat era ancora vivo e la televisione palestinese trasmetteva a ripetizione i discorsi del raìs, Tsahal invece di oscurarla aveva deciso di far arrivare, via satellite, immagini porno, con i numeri da chiamare per telefonate sexy.
fonte: corrieredellasera.it