[nice_sticky]“Combattere il deserto per recuperare la foresta”: all’insegna di questo monito, Maurizio Rossi, relatore della conferenza “Tempeste d’Acciaio”, tenutasi presso i locali dell’Ass. Cult. Raido nel freddo pomeriggio di sabato 20 ottobre, ha analizzato e spiegato alle 60 persone presenti il fenomeno della “Rivoluzione Conservatrice”. Sin dall’inizio Maurizio Rossi – già protagonista di un’altra conferenza organizzata dall’associazione sulla figura di Berto Ricci – ha precisato che la definizione “Rivoluzione Conservatrice” è frutto dell’inesattezza moderna ed è più precisamente una classificazione di comodo. [/nice_sticky]
Difatti quella corrente letteraria e politica, militare e reazionaria, i cui protagonisti amavano chiamare “Il movimento tedesco”, fu caratterizzata da una eterogeneità di pensieri e sfumature difficili da raggruppare in un’unica definizione. Questo fenomeno affascinante ha la peculiarità di contenere in sé i segni del passato e i germi dell’avvenire. Fu “laboratorio e bacino di idee”, si intravedevano tra le fila che la componevano giovani conservatori, militanti nazional-popolari e nazional-rivoluzionari come Junger e Von Salomon, socialisti come Moeller van den Bruck e antieconomicisti come Sombart. Si ebbero personaggi del calibro di Schmitt, Heidegger, Spengler, Thomas Mann, Benn, Scheler, Klages: tutti espressione di questo fenomeno culturale e storico che si erge da ponte tra la Germania guglielmina del Kaiser e il III Reich hitleriano e nazionalsocialista, sullo sfondo grigio della repubblica weimariana.
L’esposizione è continuata ricordando la sconfitta del 9 novembre 1918, con la quale la Germania viene umiliata, perde tutto, sé stessa e la sua identità; nasce una repubblica democratica forzata che a nessuno va giù. I reduci di quella Grande Guerra travolgente e totale, si ritrovano perduti e senza patria. Sono militari in uno Stato che non li accetta e non li onora; soli e perduti, si riuniscono tra di loro perché solo così, orgogliosi di un passato nobile ed elevato e sognatori di un futuro e di un destino da costruire, possono sentirsi ancora in guerra: delle fabbriche, delle birrerie e delle piazze ne fanno le loro trincee. Alcuni confluiranno nei Corpi franchi (i Frei Korps), espressione di quel “dinamismo di una rivoluzione in grande stile: ma nel senso di un re-volvere, di un ritornare alla tradizione nazionale, all’ordine dei valori naturali, all’eroismo, alla comunità di popolo, all’idea che la vita è tragica ma anche magnifica lotta” (L. L. Rimbotti). Essi combattono per una nazione da creare, per un uomo nuovo, loro vogliono la mobilitazione totale e la sborghesizzazione delle masse, senza puntare al successo del campo, ma per il puro compimento del dovere. Altri resteranno legati alla loro attività letteraria e fisseranno sui loro libri le esperienze vissute al fronte.
Sul finire degli anni ’20 sembra che il destino tanto atteso si sia finalmente presentato: il movimento nazionalsocialista acquisisce sempre più consensi e molti protagonisti della rivoluzione conservatrice confluiranno nelle fila del partito di Adolf Hitler. Per i più, però, tutto “divenne troppo demagogico e troppo plebeo”, non seppero cogliere l’occasione e non notarono che nelle azioni dei nazionalsocialisti erano iscritte le parole dei loro libri. Non tutti aderirono al regime, alcuni restarono a guardare e ne subirono le conseguenze.
Gi ascoltatori rimangono in religioso silenzio, attoniti ed affascinati dall’argomento di uomini lontani, la cui unica disciplina era quella del campo di battaglia dove, come capitani di un vascello immerso in una tempesta d’ acciaio, trovavano la loro unica dimora possibile.