Il nuovo Fascicolo di Raido.
Dalla premessa
Si è svolta sabato 24 Marzo 2007, nell’ambito degli appuntamenti culturali dell’Associazione, la conferenza dal titolo “Berto Ricci, l’ortodossia della trasgressione”. Ne vengono qui riproposti i contenuti attraverso il testo redatto dal conferenziere. Efficace, secco e appassionante, questo scritto offre molti spunti ad un uomo di milizia, che potrà trovare, nella figura luminosa di Ricci, l’esempio di come pensa, parla, opera, combatte e muore un rivoluzionario puro. Non è solo il suo esempio, però, che deve attrarre il nostro interesse, ma anche ciò che, oltre all’impegno di lotta e il senso di sacrificio personale, riporti all’aspetto sovra-individuale e dia ulteriore conferma di come la missione fascista (nella sua corretta pratica) abbia sempre sposato i più alti ideali di giustizia e bene comune. Innanzitutto, tra le pagine che seguono e nella storia che esse raccontano, emerge significativo il connubio profondo e solo apparentemente lontano tra la mistica fascista (l’indirizzo superiore) e la rivoluzione sociale integrale (l’opera dall’alto informata, che come tale, non può conoscere patteggiamenti).
Emerge come la visione fascista di una più ampia palingenesi avesse nell’azione pedagogico-culturale il principale strumento di rigenerazione, con lo scopo finale di creare un nuovo popolo, il cui cardine fosse il lavoratore partecipante insieme sia all’intellettualità che alla produzione, trascinato fuori dall’ “in-cultura” (strumentale, antisociale e sfruttatrice) dello scontro di classi. Emerge come le menti acute e disinteressate, quale Berto Ricci era, abbiano saputo condurre critica costruttiva (anche direttamente contro il Regime) senza abdicare alla loro fedeltà al Capo, riconoscendo nell’azione a volte contrastante di alcuni funzionari di alto grado un ruolo che in uno Stato complesso e compromesso (monarchia, chiesa, industria, finanza, vecchie leadership militari) si necessitava, al fine di garantire solo al Governo la gestione dei lunghi processi di trasformazione. Fedeltà al Duce ed allo spirito primo del Fascismo che veniva rincuorata in Ricci, oltre che negli incontri personali fuori dai ruoli e dagli schemi, anche dalle azioni intraprese dal Governo nei momenti ritenuti -dalla visione strategica del Duce- più opportuni (vedasi la politica avviata nel 1938, che molti passi faceva anche in direzione della visione ricciana).
Certo Ricci (come N. Giani e tanti altri) non ha visto il Fascismo storico realizzato nella sua intera trasfigurante potenzialità (più calorosamente avrebbe certo carezzato la Repubblica Sociale), ma ne aveva colto da subito i due aspetti fondamentali: la completezza (in una visione accurata, organica e multi-dimensionale di uomo nuovo in nuovo stato), la modernità (in un progetto sociale e artistico-culturale all’avanguardia, ieri come oggi, pratico ed efficace seppur sognatore). Non è però che il Fascismo ebbe bisogno della rivoluzione solo all’inizio per essere affermato, perché la rivoluzione è già compresa ed insita nel Fascismo, quale carica innovativa, totalizzante e radicale. Per questo Ricci insisteva nella continuazione della rivoluzione anche dopo la conquista del potere, perché essa mirava alla totale purificazione della società dalla “scorie storiche”, per la realizzazione dell’uomo nuovo. Solo dopo, la rivoluzione sarebbe potuta divenire uno stato interiore, un approccio alla vita! (qui una sostanziale differenza col concetto comunista di rivoluzione permanente, finalizzato invece al mantenimento dello stato di dominio-controllo sul popolo, tenuto in costante regime di mobilitazione-schiavitù).
Il Fascismo fondamentalmente non aveva bisogno di crescere o migliorarsi con l’esperienza di amministrazione e guida della società, perché esso era completo e funzionale (poi anche funzionante) già nelle origini; viceversa, solo se mantenuto puro nella sua originalità, esso avrebbe potuto migliorare e guidare la società verso il suo destino meta-storico. Calandosi in quegli anni di inizio secolo, bisogna considerare anche che il Fascismo fu un nuovo modo di considerare l’uomo, ridandogli tutta la dignità che solo una visione spirituale della vita può fare. I benefici materiali (benessere comune) ne sarebbero stati i frutti non i presupposti. Quindi anche il suo modo di intendere la politica poggiava su basi nuove, in cui la politica non era più un aspetto particolare delle relazioni umane, ma partecipava nel definire l’uomo stesso: da qui il concetto ricciano di “politicizzazione dello spirito e spiritualizzazione della politica”.
Il messaggio chiaro e assoluto, spirituale e pratico, tradizionale e rivoluzionario di Berto Ricci, è tra i più educativi che un fascista ci potesse trasmettere (che ha, non secondario oggi, anche colto l’inganno del nazionalismo, ben lontano dall’idea fascista -di per sé universale- del socialismo nazionale). Un messaggio giunto a noi senza possibilità di fraintendimenti, perché reso ancor più forte dalla sua integrale attuazione, fino alla morte in combattimento. Il meditare sulle “cause prime” delle sue azioni, donava a Berto Ricci un’assoluta consapevolezza nelle sue scelte. Non solo a 37 anni si può morire, ma si deve sapere per cosa morire.
Il sacrificio è stata la sua via e l’esempio il suo lascito. Il ricordo invece, è il nostro dovere.
Titolo: Berto Ricci – L’ortodossia della trasgressione
Autore: Maurizio Rossi
Pagine: 35
Prezzo: € 3
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