Alcune domande a Domenico Rudatis…

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    Pubblichiamo di seguito alcune parti di una conversazione-intervista con Domenico Rudatis.
    Esperto scalatore e già membro del Gruppo di Ur, Rudatis fu uno dei massimi esempi dell’alpinismo eroico, ovvero della montagna come via di liberazione interiore.

    Sarebbe stato proprio un suo articolo su di un’esperienza in montagna del 1929, e l’insolita  portata esoterica dell’esperienza narrata, ad interessare Julius Evola, con cui nacque un intenso rapporto di amicizia e collaborazione.

    D. – Per alcuni studiosi l’approccio alla montagna attraverso l’alpinismo, se vissuto con una certa intensità, può suscitare profonde modificazioni nella sfera psichica del soggetto, che si trova così a vivere una radicale trasmutazione dei livelli di coscienza. Per questi studiosi, tale esperienza ha notevoli analogie e affinità con il “trauma” che connota, nelle antiche tradizioni esoteriche, la cosiddetta «morte iniziatica». Alla luce delle sue numerose esperienze alpinistiche ed esoteriche, qual’è il suo pensiero al riguardo?

    R. – La morte iniziatica in alpinismo è puramente letteraria! Si ritrova maggiore iniziazione nelle Odi di Pindaro e negli insegnamenti dell’Oriente che in tutta la vasta letteratura di montagna che ora si sta moltiplicando materialmente e svuotando spiritualmente. Il mio primo tentativo spirituale è la mia descrizione di una discesa notturna da Pan di Zucchero della Civetta, pubblicata nella « Rivista » mensile del C.A.I. nel maggio-giugno 1929. E’ la prima e unica nel suo genere. Fece impressione a Evola, che subito mi scrisse di collaborare a Ur. Ebbero così inizio la mia amicizia e collaborazione con Evola. Questi comprese subito la «portata esoterica» della mia esperienza. La liberazione implica pure una relativa indipendenza dalla tecnica e dalla razionalità. Altrimenti la logica sarebbe la «divinità universale»!

    D. – L’alpinismo oggi tende a divenire sempre meno un’avventura nel mondo misterioso della montagna e sempre più tecnicismo: esasperato al punto di espellere da sé la necessità della montagna, come nel caso di certe arrampicate sportive del c.d. «sassismo». Che cosa pensa di questa tendenza?

    R. – Ogni disciplina ginnastica, sia in palestra che in montagna, in fondo rimane sempre e soltanto ginnastica. Non si può pretendere molto di più. Parlare e sperare in un alpinismo spirituale è forse ormai fuori o lontano dalla realtà. Dicono che lo sponsor, la stampa e il materiale sono il triangolo dell’obbedienza – forse accettato supinamente!

    D. – Nel suo “Liberazione” lei ha scritto che la pratica dell’alpinismo può suscitare riflessioni affini a quelle di chi pratichi lo Zen e condurre a una liberazione della coscienza. Ci può illustrare questo concetto?

    R. – La pratica dell’alpinismo si avvicina allo Zen quando si riesca a sgombrare lo Zen da tutti i residui razionalistici, retorici, verbali e filosofici, secondo gli insegnamenti originari di Bodhidharma, per cui la percezione della montagna diventa pura esperienza. Così come lo Zen produce satori quando la mente risulta un limpido specchio.

    Fonte: www.libreriaar.it

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