Perugia, spunta il quarto

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    Rudy Hermann

    Al delitto di Meredith avrebbe partecipato una quarta persona, ora identificata in Rudy Hermann (foto). E il sogno della societa’ multietnica tanto decantata, con in mezzo alla storia un’americana, un italiano e due africani, diviene sempre piu’ un incubo. Purtroppo, reale.

    PERUGIA – Una volta, quand’era già a Lecco, ha chiamato la sua ex squadra di basket di Perugia: «Datemi il cartellino, mi vuole una squadra di serie A». Gli hanno detto di sì, e di inviare una richiesta scritta: non è mai arrivata. Le ha raccontate grosse, Rudy, pelle nera e questa passione per il canestro, ora solo un uomo in fuga con la polizia di mezza Europa a cercarlo. Lui però da bambino, nei temi, scriveva di avere un sogno, oltre quello di giocare come «guardia» nei professionisti: diventare bianco. Soffriva per il colore della sua pelle, raccontano gli amici di allora, i compagni di squadra. Lo chiamavano il «Barone». Chissà, di certo il pallone della vita fa rimbalzi strani, a volte, e la sua metamorfosi invece che un giocatore Nba l’ha trasformato in altro: da guardia, è diventato latitante. Rudy dalla bugia facile, sempre curato nel vestire, sempre timido, introverso, e fino ai diciotto anni mai una ragazza, «neanche una». È a quell’età che lascia Perugia, va dai parenti a Lecco per finire le superiori, perché gli manca un anno per diventare ragioniere. «Prendo il diploma e torno», dice a tutti. Bugie: non finisce la scuola e torna dopo due anni, senza neanche più l’ambizione di giocare a basket. Chi gli vuol bene, e lo vede tornare, nota subito una cosa: «Non aveva più un muscolo in corpo». L’infanzia, con lui, era stata cattiva: assieme al padre, arriva in Umbria che ha cinque anni, la mamma è in Costa d’Avorio. Ogni anno, suo padre torna in Africa per un mese. Quando Rudy è in terza media, però, suo padre gli dice: vado in Africa per qualche settimana. Bugia: l’uomo parte, e sparisce. Per cinque mesi, «Rudy non ha neanche da mangiare».

    Così va a pranzo dall’allenatore di basket e a cena dall’imprenditore che, dopo qualche anno, lo prende in affido. Paolo Caporali, amministratore delegato di Liomatic, è abituato ad aiutare: «La mia famiglia gli ha dato un’opportunità, dai sedici ai diciotto anni l’abbiamo avuto con noi, anche se si capiva che era un po’ bugiardo e che non aveva troppa voglia, né di studiare né di fare altro. Però che lui sia l’assassino no, non ci credo». Di quel vizio delle bugie parla anche Ilaria, una dei tre figli dell’imprenditore: «Sì, Rudy ne diceva parecchie». La signora Bruna, invece, a quel ragazzo dev’essersi affezionata, perché ora piange e ripete: «Non ci posso credere che sia stato lui, non è vero». La famiglia Caporali, in verità, dà a Rudy anche una seconda opportunità: il ragazzo, nel suo soggiorno in Lombardia, ha messo insieme qualche lavoretto, un paio di fermi per piccoli reati, una storia d’amore subito finita, così quando torna a Perugia, senza diploma e senza una prospettiva, la sua famiglia «adottiva» gli offre un contrattino come giardiniere. Rudy, però, non è cambiato: accetta l’offerta ma non fa che assentarsi, dice di essere ammalato e viene visto la sera in centro a ridere, e poi, senza una spiegazione, sparisce per due settimane. Ad agosto, è licenziato. Roberto Segoloni, il suo ex dirigente di basket, è uno che gli vuole bene: lo incontra a fine settembre, gli chiede se ha problemi di droga. E lui, senza esitare: «No, e se non mi credi portami a fare le analisi». Di certo, adesso, altre analisi lo mettono nei guai. Chissà dov’è, e chissà cosa racconterà quando lo prenderanno: chissà se, stavolta, avrà voglia di dire la verità.

    Alessandro Capponi
    20 novembre 2007

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    fonte:

    http://www.corriere.it/cronache/07_novembre_20/capponi_omicidio_meredith_perugia_ivoriano_quarto_uomo.shtml