A 110 anni dalla nascita di Julius Evola riproponiamo uno scritto tratto da Raido n. 11 (1999, Speciale Evola).
di Giuseppe A. Spadaro
Modo migliore non trovo per penetrare il senso d’una vita che si è sviluppata tutta su una direttrice, pur nella molteplicità delle esperienze ed espressioni in vari periodi, alla ricerca e alla trasmissione d’una verità atemporale e d’un modo di vita sub specie aeternitatis, non trovo modo migliore che accennare autobiograficamente alla vicenda interiore per cui a un certo punto della mia vita, dopo essermi a lungo e profondamente immerso in un cattolicesimo tradizionale, e dopo aver assaporato una dopo l’altra tutte le filosofie a sfondo esistenziale e irrazionalistico, approdai a Evola e al “suo” pensiero, non senza difficoltà, come a una spiaggia sicura che nessuna filosofia può dare. È una vicenda comune a tanti, accomunati da una vocazione interiore che li porta a cercare ciò che è essenziale e originario trascurando ciò che è occasionale e transeunto. Per quanti non riconoscono ad alcuna delle filosofie correnti la capacità di rispondere all’interrogativo originario, l’insegnamento di Evola è stato uno sbocco non solo benefico ma necessario, e non possiamo non essergli grati.
Non è un caso, ad esempio, che molti cattolici tradizionalisti, sia che lo fossero già, sia che lo siano diventati in seguito, riconoscono in Evola un loro maestro. Sembrerebbe impossibile ma è così. Gianfranceschi ha riconosciuto: “… E pur non essendo Evola cattolico, paradossalmente le sue opere riuscivano, in chi di noi lo era, a rafforzare la convinzione che la filosofia perenne della Chiesa fosse l’unica forma di pensiero vivente e istituzionalizzato in grado di dettare regole di azione e di giudizio a chi non si lasciasse affascinare dalle ideologie materialistiche”. Per tutti costoro l’insegnamento di Evola è servito a dare profonde radici tradizionaliste tali da immunizzarli contro il tralignamento modernista che non ha risparmiato la stessa Chiesa, la sua gerarchia, la sua dottrina.
Ma parlando di gratitudine che dobbiamo all’uomo Evola, devo puntualizzare che nulla di personale e di soggettivo c’è nella sua opera, almeno a partire dal periodo della riscoperta della Tradizione, se non quel tanto di angolazione sul piano interpretativo, dovuta alla sua “equazione personale”, alla sua “disposizione da kshatriya”1. È questo un punto fondamentale che è bene mettere in luce. Le dottrine esposte da Evola non sono il frutto di sue elucubrazioni o il parto della sua fantasia.
Dico questo anche in riferimento a qualcuna delle tante fandonie scritte prima e dopo la sua morte, in interviste mai rilasciate dal maestro o completamente distorte, da parte di imbecilli che nulla hanno letto delle sue opere, o solo qualche titolo, o qualche frase che, staccata dal contesto, servisse a scandalizzare gli ancor più imbecilli lettori di questa o quella gazzetta. È così che su Il Messaggero di giovedì 13 giugno un certo Costanzo Costantini s’inventò un’intervista concessa da Evola, a suo dire, qualche giorno prima della morte. La fotografia era di almeno tre mesi prima, perché negli ultimi tempi il maestro non prendeva quasi nulla ed era conseguentemente di una magrezza spettrale. Inoltre si preparava giornalmente a quel suo appuntamento con la morte che lo raggiunse infatti al suo tavolo di lavoro verso le 15 dell’11 giugno, poco dopo essersi fatto aiutare, per l’ultima volta e a gran fatica, a vestirsi e aver dato uno sguardo dalla finestra al panorama del Gianicolo.
Proprio in questa intervista si fa dire a Evola di avere inventato una nuova formula tantrica (??!) che “permette di farne di tutti i colori” (con le donne, s’intende)! “Modestamente questa formula l’ho inventata io”. … avrebbe detto il maestro. Chi conosce Evola non può trovare ciò che ridicolo. Mai Evola si sarebbe vantato di avere inventato niente. Per lui come per tutti i veri maestri la regola dell’impersonalità era legge. Si tratta di trasmettere un sapere “non umano” a cui nulla si può aggiungere e nulla si può togliere. Ergo, o l’intervista non è stata mai concessa, o è stata concessa ma, povero Costantini, con l’intento di prendersi burla di lui, per passare un pomeriggio meno noioso alle spalle d’un povero sinistro figuro.
Perché questi “sinistri” sono per definizione i più bravi, i più intelligenti, i più colti, ma sono talvolta, e forse anche in definitiva, i più… Ora, come si può mettere in bocca a Evola e scriverlo nero su bianco su un giornale, foss’anche Il Messaggero: “… i mie genitori sfruttavano le donne e vendevano le droghe…” che sta alla pari con questa: “… le donne sono pupattole e generi di consumo” (in Metafisica del sesso Evola ha scritto espressamente che non si può dedurre una inferiorità della donna) e con quell’altra della “formula tantrica” che gli permetteva di farne di tutti i colori. Sono cose che a solo sentirle fanno scompisciare dalle risate.
Per continuare sui travisamenti e sulle calunnie di gente male informata e con nessuna voglia di informarsi si potrebbe citare quella d’un Evola “seguace della via della mano sinistra” (via tantrica) che sarebbe, non si capisce perché, “satanica”. Quella d’un Evola nazista, istruttore delle S.S. ed elaboratore della teoria del razzismo… (nientemeno!) di III grado. Quella d’un Evola (ormai parallizzato agli arti inferiori) fondatore e capo della “Legione Nera” (per cui fu anche processato e la cui arringa di autodifesa resta uno dei documenti più interessanti della storia forense) e ispiratore dei più svariati movimenti extraparlamentare di destra. A proposito di nazismo, e dell’azione di rettifica nei suoi confronti tentata da Evola in Germania fino alla fine della guerra, c’è da dire ch’egli, non si era mai voluto iscrivere al P.N.F. dichiarando di considerarsi fascista “nella misura in cui il fascismo segua e difenda tali princìpi (tradizionali)”, aveva formulato una “dottrina della razza”in netta antitesi con quella puramente biologica esposta ne Il mito del ventesimo secolo da Rosenberg. Questa dottrina parlava di un razzismo di primo, di secondo e di terzo grado in relazione alle tre componenti (soma, psiche, “spirito”) della personalità umana secondo la dottrina tradizionale, e di una “razza dello spirito” accettabile anche da ebrei (potrei citare il nome di qualcuno che conosco!).
Ma era fin troppo facile per dei lestofanti specializzati in falsificazioni di ogni genere parlare d’un “razzismo di terzo grado” come si parlasse d’un interrogatorio di terzo grado. E così il pensiero di uno dei due maggiori rappresentanti del pensiero tradizionale nell’occidente contemporaneo, Julius Evola e René Guénon, di uno dei più vari ed avvincenti scrittori di cose dello spirito (“poligrafo” è stato spreggiativamente definito, e questa, in un epoca di specialismo accademico sembra essere la più terribile delle accuse!), dell’uomo che ha esercitato forse il maggiore e più stabile influsso sulle generazioni del dopoguerra, è esposto alle insidie e alle falsificazioni di tutti gli agenti dell’“anti-tradizione”, o, come direbbe Guénon, della “contro-iniziazione”.
Non c’è da meravigliarsi che ciò avvenga. Ma l’orma ch’egli ha lasciato è quanto mai vasta, tanto da infondergli negli ultimi tempi la sensazione di aver assolto la sua funzione, di aver terminato l’opera, di poter aspettare serenamente la dipartita da questo mondo d’illusione. Egli che aveva preceduto la “contestazione” alla “società dei consumi” di almeno trenta anni, ma con una lucidità e una coerenza che mancano a Marcuse, prigioniero delle sue premesse edonistiche e materialistiche, ci ha dato, anche sul piano politico una certezza e una forza che certamente mancarono alle generazioni formatesi durante il ventennio, vaccinandoci, quali che possano essere le scelte contingenti, contro la tabe del progressismo, dell’evoluzionismo, del materialismo democratico.
Noi che attraverso lui abbiamo conosciuto la Tradizione, lo ricorderemo sia che l’avessimo conosciuto personalmente, sia che no, come una roccia salda nel dilagare di fango del “Kali-Yuga”, come un maestro di imperturbabilità e di forza interiore, fermo come il destino, ch’egli aveva interrogato sotto il terribile bombardamento di Vienna, l’aveva voluto sull’“asse della ruota”, direttore di coscienze anche suo malgrado e ispiratore quindi di “piccole guerre sante” di uomini che non aveva mai conosciuti, ma ispiratore spero di quella “grande guerra santa” che si svolge all’interno delle coscienze e che sola è foriera di grandi risultati.
Giuseppe A. Spadaro
NOTE
1) Kshatriya: guerriero. Una delle quattro caste in cui è divisa la società tradizionale, secondo le funzioni naturali che assolvono i suoi membri. Uno kshatriya non deve mai rifiutarsi di “combattere” se vuole essere riconosciuto come tale.
Dalla Bhagavad-Gita: “Dovresti sapere che non esiste per te impegno migliore che combattere secondo i princìpi della religione; non hai quindi ragione di esitare”.