di Filippo Ghira
In parallelo con l’aggravarsi della situazione ambientale in Giappone dopo le esplosioni degli impianti nucleari alla centrale di Fukushima, in Italia l’ostilità al ritorno dell’utilizzo dell’energia atomica si allarga ai settori della maggioranza e del governo. Prima la Lega che con i suoi esponenti ha suggerito che forse era il caso di avere un attimo di ripensamento, soprattutto per non trovarsi spiazzati di fronte ad una opinione pubblica come quella italiana assai propensa all’emotività.
Ieri è stata la volta del ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, che dopo aver difeso a spada tratta la scelta del governo, almeno fino a dieci giorni fa, ora auspica pure lui una pausa di “riflessione”. La maggioranza avverte infatti che cavalcare il ritorno del nucleare come se niente fosse successo, rischia di avere effetti devastanti per la tenuta della maggioranza e del governo che già traballano non poco per le vicissitudini giudiziarie del Cavaliere. In primavera ci saranno infatti le amministrative e in giugno il referendum promosso dall’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro per abrogare la legge che ha avviato la procedura per il ritorno del nucleare in Italia e l’avvio dell’esercizio di una centrale entro il 2020. Una consultazione che, come quella analoga del 1987, successiva a Chernobyl, promette di avere il medesimo risultato e di rinviare di molti anni la costruzione di nuovi impianti nucleari. Più o meno tutti i presidenti di regione hanno infatti detto che non vogliono siti atomici all’interno del proprio territorio e di conseguenza la maggioranza avrà poche carte da giocare per replicare alle argomentazioni degli abolizionisti. Come quella che l’energia prodotta dalle centrali nucleari è necessaria allo sviluppo del nostro Paese e che quelle cosiddette “verdi”, eolico e fotovoltaico, sono insufficienti per coprire il nostro fabbisogno. E soprattutto che il ritorno del nucleare rappresenta una occasione unica per coltivare e fare crescere una schiera di ingegneri e tecnici italiani ben preparati che un giorno potranno gestire l’arrivo dell’energia prodotta dalla fusione nucleare. Una energia pulita, non inquinante, a basso costo e praticamente illimitata. Ma sono repliche che una opinione pubblica come quella italiana, molto legata al proprio “particulare” localistico non avrà molta voglia di recepire. Il fatto è che gli italiani non sono tanto contrari ad avvalersi dell’energia nucleare quanto non vogliono che gli impianti siano piazzati a pochi chilometrai da casa loro.
Romani ha quindi cercato di legare le sue valutazioni a quanto ha deciso l’Unione Europa imponendo a tutti i Paesi membri di effettuare i cosiddetti “stress test” per valutare la tenuta degli impianti presenti sui rispettivi territori.
Sul nucleare, ha detto, serve un momento di riflessione guardando agli eventi che stanno accadendo in Giappone. Tutti devono fermarsi un attimo. Si deve capire se gli stress test in Europa (peraltro su centrali di vecchia generazione) garantiscono sicurezza a tutti. Certo, ha convenuto, quanto è successo in Giappone, terremoto, maremoto ed esplosione della centrale, è stato assolutamente straordinario e imprevedibile per le sue dimensioni. Di conseguenza non si possono fare scelte così importanti come il nucleare senza la condivisione con i territori e senza tenere conto dei parametri di sicurezza garantiti. Anche se, ha tenuto a precisare, discutere di stop definitivo al programma nucleare è fuori tempo e inappropriato. Della serie: il nucleare ci piace ma se gli italiani dicono di no, ne terremo conto.
Il commissario europeo all’Energia, il tedesco Guenther Oettinger, ha previsto che i test di resistenza che saranno effettuati su tutti i reattori nucleari dimostreranno che molti di essi non soddisfano le più elevate norme di sicurezza. E questo non potrà che rafforzare le posizioni degli ecologisti di ogni Paese.
Fonte: Rinascita
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