L’abbaglio leghista: brevi riflessioni sul fenomeno “Lega Nord”
Per molti osservatori – politologi, politici, esperti…fino all’uomo della strada – il fenomeno Lega Nord (LN) è sostanzialmente spiegabile sulla base del fatto che, questo partito sarebbe in grado di incarnare l’idea di “identità” e, quindi, di “comunità”. La LN, dopo le ultime elezioni (2008), inoltre, è risultato essere il primo partito operaio (al nord). Questo elemento, agli occhi di chi sopra, ha ulteriormente avvalorato l’idea della LN come di un partito che sa parlare al popolo, essere presente dove serve, condurre battaglie sociali vere e sentite dalla gente.
Scriviamo queste brevi righe non perché ci interessi disquisire su questioni di ordine politologico, o perché nutriamo un qualche senso di frustrazione nei confronti degli innegabili successi leghisti, che ci dovrebbe convincere del fatto di dover imparare qualcosa da questa formazione politica: tutt’altro. Ma, perché occorre sfatare il “mito” della potenza leghista, diffuso anche nel cosiddetto “ambiente”. Senza entrare nel merito – come pure meriterebbe… – del fatto che questo “mito” è, in buona parte, segno inequivocabile dell’assenza di strategie ed obiettivi precisi e concreti – da cui non può che scaturire una “gelosia” nei confronti della LN che scimmiotta/ruba tanti dei temi cari alla “destra radicale” (immigrazione, lotta agli sprechi, senso identitario, etc.) – quello che più interessa è sfatare il “mito” in se e per sé.
Il “mito” è quello di una LN identitaria, radicata nel territorio, militante e “sociale”. Ebbene, questo è un mito. Questa è l’immagine che, stereotipicamente, la LN da di sé, ed in cui credono gli stessi leghisti (base e dirigenti). La realtà è diversa. La LN, infatti, ha si una combattiva componente militante e attivistica, ma questa è una netta minoranza. Tuttavia, riesce a sembrare preponderante nell’immaginario collettivo.
E’ alla prova dei dati statistici che il mito crolla. I dati, infatti, ci dimostrano che il voto leghista è essenzialmente un “voto di protesta”, che solo per le peculiarità del nord Italia, si fonde con quello che potremmo definire come “voto identitario”. In realtà il voto di protesta, di cui pure un Raffaele Lombardo dell’MPA o un Di Pietro dell’IdV si nutrono, è l’esatto opposto di quello “identitario” (es. quello che al tempo era del PCI o della DC).
Il risultato, dati alla mano, ci dice che la LN è un partito di protesta, che quando arriva al governo (anche dei singoli enti locali) perde consensi. Perché? Perché il suo elettore tipico vota LN perché rappresenta istanze anti-politiche, ma quando questa arriva in sede di governo, il suo elettore l’abbandona. E, infatti, dove la LN alle precedenti elezioni aveva già ottenuto buoni risultati, o addirittura installato propri sindaci, alla tornata elettorale successiva vede una netta decrescita nei voti.
Per tutti questi motivi, il populismo leghista non può che produrre un esito elettorale “a molla”: cioè destinato a non ripetersi all’elezione successiva. Non c’è, dunque, identificazione o senso identitario nel voto leghista. Soprattutto, non c’è “comunità”: affatto. C’è frustrazione, mista a ignoranza, paura e senso d’impotenza nell’elettorato leghista: che è, tra l’altro, il meno istruito e quello socialmente più basso, di tutti gli schieramenti politici italiani. Non che l’estrazione sociale bassa o lo scarso livello d’istruzione sia, di per sé, un male, ovviamente: ma è normale, che su queste fasce di popolazione, l’abbaglio leghista ha inevitabilmente presa più facile. La LN lo sa, e gioca su questo per restare in piedi: ma, la comunità è ben altra cosa.