Si è conclusa l’8 Gennaio l’acclamata mostra dal titolo “Realismi Socialisti” che ha raccolto e portato in Italia sessantasei tele di grande formato realizzate tra il 1920 e il 1970 da artisti sconosciuti in occidente, ma anche da maestri già protagonisti dell’avanguardia russa. Una mostra annunciata entusiasticamente da molti critici d’arte come il passaggio dalla propaganda all’arte, che non avrebbe presentato solo opere “kitsch di regime” ma molte ispirazioni e arte di qualità, volendo così superare il pregiudizio storico verso queste opere sorte all’ombra del socialismo reale.
Noi alla mostra ci siamo stati. E i dubbi, nonostante quanto elogiato dai critici d’arte, restano. Non solo perchè la mostra si è rivelata l’occasione per tanti sfigati nostalgici vetero-comunisti (che, detto per inciso, tanto “proletari” – come i soggetti dei quadri da loro apprezzati – non erano mica…) per farsi un pomeriggio in compagnia dei tanti miti del comunismo che non hanno (evidentemente) mai vissuto. Magari trattendo a stento qualche lacrimuccia…
Fatta questa valutazione tutta “antropologica”, resta da smontare il “realismo socialista” così com’è: cioè come forma d’arte, ma soprattutto come forma mentis che corrisponde all’uomo edificato dal marxismo. Lasciamo quindi spazio al commento di Julius Evola che in uno scritto di rara reperibilità chiarisce in sintesi il nocciolo del problema.
di Julius Evola
[…] Infine, è altrettanto chiaro che il realismo socialista o marxista rappresenta anch’esso una discesa di fronte a certi valori elementari della persona, che non si riducono per nulla a dei pregiudizi dello “idealismo” borghese. La polemica antiborghese e antiindividualista in tale realismo è in funzione di una regressione del singolo nel regno della materialità e dell’esistenza collettiva messa sotto il giogo dell’economia. Il realismo di chi come reali consideri i soli valori “fisici” dell’esistenza volgare, economicamente condizionata, individuale o collettiva, equivarrebbe ad un plateale primitivismo. Sennonchè, come è noto, qui il carattere specifico è dato dallo sfondo del materialismo storico e di altre concezioni le quali, mentre vorrebbero essere oggettive e scientifiche, in realtà hanno un contenuto di mitologia e di ideologia proprio quanto quelle corrispondenti alle grandi deprecate parole con la lettera maiuscola, parole che in realtà in questa corrente non sono eliminate, ma solo sostituite, e fanno da centro ad una mistica sui generis. Da ciò si può vedere che , in fondo, tale realismo è assai al di qua del “punto zero” (Evola si riferisce allo Junger del primo periodo, NDR) e di ciò che può seguirne nei termini di una visione chiara, distaccata, disebbrata dell’esistenza. […]
(Tratto da “Neorealismo e realismo socialista“, in “Ordine Nuovo”, n.2, Febbraio 1958)