Ciò che rende “La crisi del mondo moderno” di René Guénon un pilastro fondamentale nel cammino di studio formativo della dottrina tradizionale, è che esso fornisce un quadro impeccabile degli sconvolgimenti che vedono prevalere oggi nella parte del mondo così detta “modernizzata”.
Senza dubbio, nell’ambito del grande ciclo dell’umanità terrestre, ci si trova immersi nell’ultima fase, quella terminale, il kali-juga o età oscura, a discapito di una massa etero diretta e totalmente suggestionata dall’idea progressista. Una follia che fornisce la convinzione erronea di un uomo in evoluzione e in miglioramento costante attraverso il controllo sempre maggiore della tecnica e lo studio sempre più specifico delle scienze, che trovano riscontro esclusivamente nell’ambito pratico. Proprio questa suddivisione del sapere in una moltitudine di compartimenti stagni scollegati tra loro rendono il mondo moderno una struttura anomala che, volendo fare un’analogia, si muove come un robot, meccanicamente e in modo scomposto, spesso casualmente, senza quella organicità necessaria ad un senso di unità. Quest’ultima, la sola capace di collegare le varie parti del corpo sociale e di fornire un orientamento alle sue dinamiche. La suddivisione e la progressiva materializzazione, portano dunque ad una superiorità indubbia della civilizzazione moderna, su tutto ciò che riguarda le applicazioni pratiche, annullando totalmente ogni riferimento di ordine sovra individuale e spirituale senza il quale questa padronanza diventa vana e dannosa. L’unità viene dissipata nella molteplicità, la completezza viene smembrata in infinite parti monche, la pienezza spirituale dei più grandi popoli tradizionali decade e si materializza nell’invasiva epoca della produzione, del consumo fine a sé stesso e della moltitudine anonima.
La salvezza dell’occidente, inteso nel testo come mondo moderno, nonché la salvezza dell’Europa giunta oramai allo stato terminale risiede nella riscoperta di quei valori che è possibile ritrovare nelle civiltà passate, dall’antica Grecia a Roma fino a giungere al medioevo cristiano. Essi sono la testimonianza della vivificazione dei principi eterni d’ordine tradizionale, al punto che si manifestarono pienamente in quei popoli che cercarono in qualche modo di porre freno ed arrestare la decadenza. Secondo l’autore infatti, se si osserva la storia dell’umanità dalla giusta ottica, si trova come già in passato ci siano stati cicli di crisi risolti da momenti nei quali la tradizione primordiale si è vivificata. A ciò dobbiamo dunque fare riferimento per vedere la storia nella sua unità e trovare così nel nuovo – sicuramente peggiore di tutti – periodo di crisi, il giusto modo di agire per poter cercare quel che a noi è possibile per il miglioramento delle condizioni odierne.
All’occidente inteso come mondo moderno, egli oppone l’oriente inteso come mondo tradizionale, e però riconosce che l’Europa ha avuto le sue forme tradizionali differenti per caratteristiche da quelle orientali ma egualmente opposte alla civilizzazione moderna e che egualmente hanno fatto riferimento a principi d’ordine sovrumano. Egli segnala però, come l’Oriente possegga ancor’oggi un’integrità spirituale che in Occidente è oramai perduta e quindi invita quest’ultimo, in particolar modo coloro che ancora conservano delle potenzialità di risveglio, a riferirsi all’Oriente per trovare in esso un saldo punto di riferimento nel percorso di ricostruzione interiore.

Guénon muove poi la critica alla democrazia, la quale è il colmo e l’apice dell’ipocrisia, una menzogna, in quanto fornisce l’illusione che dal basso si possa giungere all’alto, sovvertendo una legge naturale incontestabile. È infatti solo dall’alto che giunge la forza che imprime Ordine: dal superiore e da colui che detiene un potere legittimo perché sacro e sovra individuale possono giungere le direttive per il governo dei popoli. Dire l’inverso è un’aberrazione e soprattutto una presa in giro perché il singolo credendosi padrone di decidere e convinto che la sua opinione “conti” – nel senso che influisca realmente sul futuro della propria nazione e sulle direttive prese – in realtà ignora che a decidere sono ben altri, utilizzando voti, movimenti, partiti e alleanze come strumento per distrarre, negando la possibilità di giungere ad un qualsiasi principio di verità.
La democrazia, livellando e schiacciando ogni ordine gerarchico, fa si che il solo fattore di distinzione tra i vari individui sia quello economico, materiale. Essere più ricchi per avere più cose è l’unico scopo di una vita atta a contare ogni cosa, preoccupata solamente della quantità, una vita che scivola via passando da un desiderio all’altro in un costante stato di instabilità. Conseguentemente, non sappiamo più apprezzare le cose che abbiamo, e cresciamo veramente “malati” perché perdiamo di vista l’essenziale lavorando allo sfinimento e agitandoci per cercare di avere “più” dell’altro.
L’Autore non nega che il caos nel quale ci ritroviamo a vivere oggigiorno sfiora gli abissi più bui della storia dell’umanità, ma non è questa la ragione per farsi trascinare dalla corrente modernista. Egli chiude il libro con le parole riportate di seguito, facendo appello a coloro che ancor oggi credono nella sovranità della dimensione spirituale e lottano per essa, incitandoli a non disperare nonostante ci si ritrovi immersi in un epoca di profonda confusione e smarrimento metafisico. Anche se a prima vista può sembrare di compiere sforzi inutili in iniziative delle quali non vediamo gli immediati frutti, occorre aver fede nella convinzione che ogni mattone che poniamo per fortificare le mura difensive della nostra cittadella tradizionale è prezioso e che non andrà in alcun modo perduto.
“Non vi è dunque ragione di disperare; e quand’anche non si potesse sperare di raggiungere un risultato sensibile prima che il mondo moderno precipiti, questo non sarebbe un motivo per non cominciare un’opera la cui portata reale va ben oltre l’epoca attuale. Coloro che fossero tentati di cedere allo scoraggiamento debbono pensare che nulla di quanto viene compiuto in quest’ordine può mai andar perduto; che il disordine, l’errore e l’oscurità possono trionfare solo in apparenza e in modo affatto momentaneo; che tutti gli squilibri parziali e transitori debbono necessariamente concorrere alla costituzione del grande equilibrio totale e che nulla potrà mai prevalere in modo definitivo contro la potenza della verità: la loro divisa sia quella adottata in altri tempi da certe organizzazioni iniziatiche dell’Occidente: Vincit omnia Veritas.”
Elio Carnico