L’allarme questa volta, è lanciato dall’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza, Paidòss, con l’indagine sulla ludopatia al di sotto dei 18 anni.
Il gioco d’azzardo delle piccole o grandi cifre per tentare la sorte, il bruciare denaro nella speranza di aumentarne la quantità. Tentazioni umane di sempre e per questo confinate nell’antica Roma, per l’eccezionalità con cui potevano essere tollerate, solo durante i Saturnali.
Ovunque e in ogni momento la nostra gioventù è sollecitata alla scommessa in denaro: su Internet i ragazzini giocano a Poker on line, alle slot, al Gratta e vinci, al Fantacalcio e così via. È un allarme sociale per dati che offrono uno spaccato davvero preoccupante: 800 mila minori fra i 10 e i 17 anni giocano d’azzardo e 400 mila tra i sette e i nove anni hanno già scommesso al Bingo, con scommesse sportive, lotterie.
Spesso giocano in gruppo e la paghetta settimanale va tutta lì per l’attrazione del miraggio di fare soldi, di vincere per aver più soldi perché quanto si ha non basta a far fronte a tutti i bisogni indotti che sollecitano i loro desideri plasmandoli al consumo e al profitto. Il brivido dell’emozione per avere tutto e subito mentre gli adulti non si accorgono di niente.
E da qui il via alla campagna di sensibilizzazione “Ragazzi in gioco” promossa dalla Società Italiana Medici Pediatri, SIMPe, con corsi rivolti ai pediatri e ai ragazzi nelle scuola per informare e parlare della ludopatia, della sua esistenza e del suo significato, affrontando il tema della dipendenza dal gioco, dei suoi sintomi e delle sue conseguenze.
Quale percorso di mostruosa trasformazione ha subito il gioco per snaturarsi dall’attività propria della vita dei più piccoli?
Dai bambini che con le loro voci, correvano negli spazi ancora sicuri dei cortili, dei vicoli e delle strade, dei giardini e dei parchi a sperimentarsi nella destrezza dei loro movimenti conquistando consapevolezza di sé, incrementando la capacità di relazione con l’altro e vivendo nella pienezza lo spazio di vita che per questo è vitale.
Dai bambini che guardavano nel cielo le luci per cogliere il trascorrere del tempo e accorgersi del tramontare del Sole nei ritmi sereni dell’esistenza che appagano le durate del pranzo, dello studio, del gioco ben divise e distinte tra di loro nel vissuto del corpo e della mente.
I nostri bambini vivono oggi reclusi negli ambienti “sicuri” perché vigilati da adulti professionisti che avanzano tra istruttori e animatori negli spazi appositamente organizzati di palestre, campi di calcio, una, due tre volte ogni settimana. Dove gli allenamenti richiamano più di dovere del lavoro da protrarre fino all’orario previsto e non il senso del gioco che per definizione si può interrompere quando si vuole se non appaga più.
Ristretti gli spazi e condizionati i suoi tempi, la nostra infanzia è deprivata della libertà di vivere la naturale pulsione ludica che nella Tradizione è iniziazione comunitaria a cominciare da quelli sperimentati fin dalla nascita nell’accedere alla simbolizzazione della parola e allo sperimentarsi del movimento fin dalla relazione primaria madre-bambino.
E tutto il gioco si è andato progressivamente trasformando in mercato con giocattoli sempre più definiti con i quali ci si sente efficaci nel muovere i pollici del riflesso condizionato con luci intermittenti velocissime che rimbalzano nel piccolo spazio dello schermo in cui è costretto lo sguardo incantato senza corpo e mente.
Non si crea più niente, non si immagina nulla che parta dal sé per tendere invece alla uniformità immaginativa dei personaggi imposti con l’efficace pressione pubblicitaria invasiva e seducente per l’infanzia e gli adulti insieme, nella ricerca di qualcosa per una nuova emozione che sa di evanescenza stagionale.
La vita di ogni bambino, organismo naturale, umano e sociale, si adatta, e si è adattata sempre più verso il basso, ad ogni limitazione imposta dall’esterno di un mondo che persegue un modello che culturale non è più perché è solo mercato, del qui ed ora, e abbandona la prospettiva del pensiero responsabile del lungo termine e del dovere accanto al diritto.
L’infanzia fa allora bella mostra nei trattati e nelle carte, rigorosamente fuori dalla quotidianità dell’esistenza di quanti la compongono. Nella logica in cui passa per diritto non qualcosa che di per sé è garantito ma ciò che dovrebbe esserlo, se a tempo indeterminato conta poco. Un po’ come suona la Carta costituzionale nelle sue disattesi solenni affermazioni e contenuti.
Ma l’adulto sente, certe volte, di doversi occupare dell’infanzia. Non farlo produrrebbe imbarazzo e disagio, e allora la pelosa generosità e l’altruismo da telecomando attiva la nostra attenzione, a tempo, verso i bambini. Si mostrano in primo piano quelli che muoiono per il mancato vaccino, per la fame, per la guerra, senza alzare lo sguardo per comprenderne nell’insieme cause e interessi. Oggi tocca ai giovanissimi che hanno raggiunto la ludopatia che sarà denunciata senza indicare ciò che la determina senza volontà di incidere alla radice del male.