La recente pubblicazione della nuova edizione de “Il Cammino del Cinabro“, in questo 40esimo anniversario della morte di Julius Evola, è un’utile occasione per tornare a parlare di questo grande esponente della Tradizione. Uno degli aspetti ancora più critici nell’analisi e lettura dell’opera e della biografia di Evola, sta nel suo rapporto col regime Fascista. Tratti dall’opera di Y. De Begnac “Taccuini Mussoliniani” (Il Mulino, Bologna, 1991) ripubblichiamo alcuni brani – pressoché sconosciuti ai più – che sono utili per inquadrare il rapporto Evola- Mussolini-Fascismo.
“Quando, poi, Julius Evola, ponendosi alla ricerca dei grandi miti legati alla rovina di ere scomparse, parlò di salvezza dell’occidente come sola possibilità di sottrarre ad indeclinabile caduta la storia, la mia mente corse a quelle tele che tre lustri innanzi avevo ammirato, io fermo estimatore di pittori veneti del cinquecento, del seicento, del settecento, a Brescia e a Roma. Sempre quella fede in un’Europa disintossicata dal virus dell’internazionalismo a pronto potere che i libertari d’ogni chiesa e chiesuola intendono costituire in aspirazione permanente dei propri ideali di vaga e inconsistente libertà: sempre quella fede, che in quelle antiche tele cominciava ad esprimersi, ora, nelle pagine delle opere di Evola assumeva consistenza di dottrina, regolamentazione di verità ancora lontane dall’affermarsi come le sole atte ad imprimere a una cultura rivoluzionaria il vigore di una socialità riformante in toto lo stato, gli stati, i rapporti politici tra individuo e amministrazione della propria collettività. Proprio nel segno dell’antica pittura, nella nuova potente saggistica di Evola io vidi il costituirsi di un nuovo modo di fare cultura rivoluzionaria affidando al documento, al dogma, alla fantasia, la guida del nostro procedere alla costruzione d’una nuova società”. (Benito Mussolini)