Recensione a cura della Redazione di AzioneTradizionale.com
Attesissimo nelle sale – soprattutto di Roma e dintorni – è finalmente arrivato “Suburra”, l’ultima fatica di Stefano Sollima, già regista delle fortunate serie televisive “Romanzo Criminale” e “Gomorra” nonché del film “Acab”.
Ancora una volta, Sollima si confronta con la versione cinematografica di un romanzo. In questo caso “Suburra”, romanzo scritto nel 2013 a quattro mani da Carlo Bonini (già autore di “Acab”) e Giancarlo De Cataldo (autore, fra gli altri, di “Romanzo Criminale”). Si riconferma quindi un tandem rodato.
La critica al libro ed al film vanno di pari passo. Del film, in particolare, ci limiteremmo a registrare le mediocri interpretazioni di un Elio Germano nella poco credibile veste di PR della Roma “bene” e di un Amendola inadatto a vestire i panni del capo criminale di Roma. Favino un pò sopra la media, ma comunque poco idoneo al ruolo assegnato. Veramente notevole, invece, l’interpretazione di un attore meno noto come Adamo Dionisi, alias Manfredi Anacleti, il Casamonica della pellicola, che sovrasta enormemente gli altri big del film. Detto questo, l’analisi “tecnica” del film finisce qua, visto che AT.com non è un blog di cinema.

Sulla scia di “Acab” (romanzo) con “Suburra” Carlo Bonini, infatti, ci delizia (si fa per dire…), ancora una volta, con un libro partorito da idee preconcette e schemi mentali, degni del più ottuso antifascismo. Ci duole evidenziare come, anche, nello stile del libro il contributo di De Cataldo sia pressochè nullo (lo avrà soltanto firmato?). Il risultato, infatti, è un libro piatto, senza enfasi, che non appassiona e, soprattutto, tradisce nelle dinamiche della storia narrata idee di fondo al limite della fantascienza (politica).
La storia del libro, ripresa in buona parte anche dalla versione cinematografica, segue uno schema che anche le cronache, sulla scia di “Mafia Capitale”, hanno cercato di propinarci: una trama nera di fascisti, con i più diversi collegamenti, domina Roma dietro la facciata di politici compiacenti (di Centrodestra) e qualche elemento del Vaticano (che viene sempre tirato in mezzo, perché fa brodo…). E qui sta tutto il limite di Bonini e De Cataldo: essersi volutamente fermati ad un livello della narrativa buona solo per chi vuole ottusamente voltare lo sguardo rispetto ad un sistema corruttivo e criminale che non ha colori e che non è nè di destra nè di sinistra come le stesse indagini hanno dimostrato. 

Forse, si potrà obiettare che “Suburra” è stato scritto nel 2013, quando le inchieste su “Mafia Capitale” non erano ancora di rilevanza pubblica e che quindi gli Autori non potevano sapere… Ma questo alibi si smonta analizzando comunque la cura e l’attenzione messa dagli Autori nel disegno della geometria criminale di Roma, camuffata da nomi un pò diversi, ma corretta nell’intuizione, esattamente come le inchieste più recenti avrebbero rivelato.
Quindi gli Autori, che pure colgono (grazie a De Cataldo? In quanto ex magistrato già attivo nei processi contro la Banda della Magliana) dinamiche e referenti criminali di Roma con una certa precisione, volutamente riconducono tutto un sistema criminale a un’idea preconcetta: la “Suburra” è il sistema che governa Roma grazie agli (ex)camerati passati allegramente dalla lotta armata alla criminalità organizzata. Tutti, mafie del Sud comprese, si devono rifare in qualche modo a quel sistema.
E che proprio questa, e solo questa, sia l’unico modo di vedere degli Autori, lo dimostra anche il recepimento da parte di una parte della critica cinematografica che ha così recensito il film:
“Basterebbe la celtica al collo dell’onorevole di centro destra interpretato da Pier Francesco Favino mentre pippa e tromba all’Hotel de Russie con due mignotte e poi va a pisciare dalla terrazza mentre la pioggia si abbatte su Piazza del Popolo per fare di Suburra di Stefano Sollima, tratto dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, che lo hanno sceneggiato assieme a Sandro Petraglia e Stefano Rulli, il film dell’anno.” (Il Manifesto – ilmanifesto.info/suburra-i-re-di-roma-ma-non-per-fiction/).

Eccolo l’atavico spauracchio dell’antifascismo di regime, quello ammantato di cultura impegnata: il fascista, questa figura mitica che deve catalizzare tutte le caratteristiche peggiore dell’uomo. Il politico che nella pellicola (Favino), dopo una notte di coca e troie, con la celtica al collo, piscia dal balcone su una Roma “stuprata”: questo è il “fascista”, nell’anno 2015, per il compagno.
Ma, i nostri fanno di più. Anzi, cercano quasi di lanciare un monito per il futuro al lettore più militante e manipolabile. Il Samurai, il protagonista cattivo del libro-film, il camerata divenuto boss, utilizzerebbe non meglio definiti “centri sociali di destra” per creare un esercito personale di fanatici, a metà fra i martiri e gli allocchi (visto che non si accorgono che vanno a picchiare gli spacciatori e poi sono usati come galoppini proprio dal primo spacciatore di Roma… ma pur sempre cattivissimi!), che in realtà il Samurai utilizza per le sue attività criminali.
Vuoi vedere che questa “artificio letterario” in realtà è un monito a che le istituzioni e le forze di Polizia tengano monitorati i “centri” di Destra, romani, affinché da questi non nasca una nuova progenie di adepti di non meglio definiti fascisti criminali? Eccola la “morale” del libro: attenti al fascista della porta accanto.
Insomma, più che un film-libro ci sembra ci sia sempre dietro la voluta o meno (fa lo stesso sul piano del risultato finale…) strategia del fango che il nostro ambiente politico ed umano – anche per sue oggettive responsabilità e frequentazioni sbagliate (diciamocelo!) – subisce ancora oggi.
P.S. Bonini e De Cataldo: guardatevi allo specchio perché la “Suburra” magari siete (anche) voi e non ve ne siete accorti…