di Elena Barlozzari
(www.occhidellaguerra.it) -Le grandi battaglie di civiltà hanno nomi e cognomi. La lotta per l’emancipazione dalla sofferenza e per il rispetto dei diritti umani, ad ogni latitudine, spesso s’incarna nel viso degli uomini che l’hanno combattuta. Quella contro la repressione e l’annientamento del dissenso nella Repubblica Popolare di Cina porta il nome dell’attivista Harry Wu.
Wu, scampato alle “purghe” maoiste, è morto ieri in Honduras all’età di settantanove anni. L’uomo, originario di Shanghai e naturalizzato statunitense, è stato uno dei più scomodi e prolifici controrivoluzionari cinesi. Fondatore della Laogai Research foundation, organizzazione non-profit che denuncia il barbaro sistema di rieducazione forzata ideato dal governo comunista, ha svelato al mondo i crimini dal regime attraverso la testimonianza della sua prigionia.
Al volume “Contro rivoluzionario. I miei anni nei gulag cinesi” (Edizioni San Paolo), Wu affida le sue memorie di ex prigioniero politico. Arrestato nel 1956 per aver criticato Mao, viene condannato de facto, ovvero senza processo, a trascorrere diciannove anni nei campi di prigionia cinesi. Questi lager, conosciuti con il termine mistificatorio di “Laogai”, che significa “rieducazione attraverso il lavoro”, sono dei luoghi di tortura ed umiliazione a cui pochi dissidenti oltre a Wu hanno avuto la fortuna di sopravvivere.
Quando il Partito comunista cinese sale al potere nel 1956, Mao Zedong si ispira al modello dei Gulag sovietici per creare una rete di prigioni che assicurino il potere dalle spinte controrivoluzionarie. Dopo la morte di Mao, nel 1979, in seguito ad un allentamento della pressione sul dissenso, Wu torna libero e si trasferisce negli negli Stati Uniti. In occasione di un viaggio in Cina, nel 1995, viene nuovamente arrestato e condannato a quindici anni con l’accusa di spionaggio ma, grazie ad una massiccia mobilitazione civile ed agli sforzi della diplomazia americana, ottiene l’estradizione negli Stati Uniti da dove continua la sua attività di denuncia.
Il governo cinese si era impegnato a smantellare il sistema di “rieducazione” carceraria entro il 2013. Eppure, un rapporto della U.S.- China Economic and Security Review Commission ha sollevato “dubbi legittimi” circa la veridicità dell’annuncio. Con l’insediamento Xi Jinping, infatti, la repressione nei confronti degli oppositori si è in realtà inasprita. Xi Jinping ha conquistato in breve tempo il titolo un tempo riservato a Mao di “hexin”, ovvero, il fulcro, avviando la più grande campagna di repressione che il paese ricordi dai tragici fatti di piazza Tiananmen, arrestando e internando centinaia di avvocati per la difesa dei diritti umani, studiosi ed attivisti.
Queste recrudescenze hanno portato Wu, nonostante la cittadinanza americana, a condannare duramente l’ipocrisia della politica estera di Washington nei confronti di Pechino. “Il Partito Comunista – aveva denunciato Wu in occasione della prima visita di Jinping alla Casa Bianca nel 2015 – ha privato il popolo cinese della libertà di parola, della libertà di religione, di nazionalità, ma anche della libertà di nascita. Non c’è libertà religiosa in Cina, ma la sola cosa che interessa è l’economia e gli investimenti”.