Il Samurai di D’Annunzio

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Harukichi Shimoi 3

Ecco a voi Harukichi Shimoi, samurai dal perfetto accento partenopeo, arruolatosi negli arditi e intermediario tra le due vulcaniche figure di Mussolini e D’Annunzio. Storie di altri tempi. E di altri uomini.

di Michele D’Andrea

(da Palle girate e altre storie – cose curiose della Grande Guerra pagg. 68-69)

Harukichi Shimoi era basso – più basso della media dei giapponesi -, aveva due cespugli al posto delle sopracciglia e parlava un perfetto napoletano. Nato nel 1883 da un’antica famiglia di samurai e laureatosi in anglistica, s’innamorò perdutamente della cultura e della civiltà italiane: imparò la nostra lingua, declamava Dante a memoria e, grazie all’intercessione del nostro ambasciatore a Tokio, ottenne nel 1912 un contratto come docente di giapponese presso l’Istituto orientale di Napoli. Sotto il Vesuvio, il vulcanico professore divenne frequentatore assiduo degli ambienti letterari e riuscì, in meno di un anno, ad assimilare sonorità e cadenze dell’autentico dialetto partenopeo. Allo scoppio della guerra fu naturale per lui arruolarsi volontario nelle nostre file. Grazie ai buoni uffici del generale Caviglia, che era stato addetto militare in Giappone, entrò fra gli arditi, ai quali insegnò il karate. I soldati lo adoravano e i reparti se lo contendevano per farsi raccontare, in un misto d’italiano e di napoletano, i racconti del conflitto russo-giapponese che si concludevano con veementi esortazioni alla vittoria finale e alti cori di banzai!

Harukichi Shimoi 2Fu lui, insieme a una cinquantina di fiamme nere, a entrare per primo a Trieste il 3 novembre 1918. Poi conobbe d’Annunzio. Il Vate adorava quel piccolo giapponese: lo chiamava «camerata samurai» e lo volle nella sua guardia del corpo al tempo della spedizione di Fiume. E quando, ironia del destino, fu proprio l’amico generale Caviglia a porre l’assedio alla città, Shimoi ottenne una sorta di salvacondotto che gli permise di fare la spola fra il Carnaro e Milano. E sì, perché ora Shimoi era diventato l’intermediario privilegiato di Gabriele d’Annunzio e Benito Mussolini, due primedonne che non tolleravano di vedersi rubata la scena. Per d’Annunzio Mussolini era «‘nu cafone» e per il futuro duce il poeta era «‘nu pagliaccio».

Intorno agli anni Trenta Harukichi tornò in Patria, dove divenne una sorta di ambasciatore del Fascismo curando, fra l’altro, la traduzione degli scritti mussoliniani e svolgendo un’intensa attività propagandistica in favore del regime.

Epurato dopo la Seconda Guerra Mondiale e poi riabilitato, morì nel 1954.