“Vi sono libri che agiscono sulla realtà più di molti fatti politici e diventano idee-forza, miti, sangue che alimenta i processi storici in atto.” Questa frase di Adriano Romualdi ben descrive il significato che “La Conquista di Berlino” di J. Goebbels, ristampato per i tipi di Ar, presentato sabato scorso presso Raido, ha assunto per un intero ambiente politico.
E’ stato Maurizio Rossi a farci (ri)scoprire quest’opera, tornata dopo tanti, troppi, anni di assenza sugli scaffali, riportandoci nell’atmosfera plumbea della Berlino anni ’20, teatro dell’epopea di quei giovani armati di fede e di coraggio pronti a rischiare tutto per un quartiere, una piazza, un metro di strada, fino alla vittoria finale, che arriverà solo dopo tanti anni, nel 1933. Le parole di Maurizio hanno evocato vecchie storie di sangue e di sacrificio, di lotta politica guidata dal motto “Nessun quartiere, nessuna fabbrica, senza una cellula nazionalsocialista”, nella città politicamente più difficile d’Europa, covo della peggior specie di intellettuali decadenti, nei quartieri borghesi, e dei più agguerriti comunisti, nelle zone operaie.
Ma il libro del ‘dottor’ Goebbels, come Maurizio Rossi ha sottolineato, non è soltanto il racconto dell’ascesa del NSDAP al potere (per la verità, la narrazione si conclude nel ’27), ma un vero e proprio manuale del militante, funzionale alla creazione di quel soldato politico di cui la Germania aveva bisogno per rinascere dalle ceneri di Versailles: intransigente, puro, coraggioso.
Intransigenti, puri, coraggiosi, i giovani della Hitlerjugend e delle SA lo erano davvero. Abituati a combattere contro una repressione scientifica ed infame della “reazione” e del “fronte rosso”, molti perderanno la vita, divenendo martiri. Uno su tutti, Horst Wessel, capace di assurgere, col suo sacrificio, a simbolo di una rivoluzione, del sangue che consacra la Vittoria. La storia del 23enne, autore dell’inno “Die Fahne Hoch”, morto nel 1930 in ospedale, un mese dopo essere stato colpito da uno sparo al volto da tre comunisti, non ha potuto non emozionare il pubblico che ha riempito i locali di Raido, rapito dalle parole, nette e profonde, di Maurizio Rossi.
Quindici anni dopo, il 2 e 3 maggio 1945, il cimitero in cui riposava Horst Wessel fu cornice dell’ ultima resistenza tedesca all’armata rossa. Poche centinaia di Hitlerjugend si fecero massacrare per non abbandonare le spoglie di Horst Wessel al nemico. Berlino, conquistata dai padri e difesa eroicamente dai figli era caduta in mano al nemico, per sempre. Ma la vera conquista era avvenuta. Quella della gloria imperitura che suggella ogni sacrificio in nome dell’Idea.
In alto i cuori!