Ha aperto i battenti lo scorso 16 dicembre presso le Scuderie del Quirinale a Roma la mostra intitolata “Il Museo universale: dal sogno di Napoleone a Canova”, incentrata sull’idea napoleonica di dare al nascente Museo del Louvre di Parigi un connotato universalistico. Il Museo avrebbe dovuto ospitare le più importanti opere d’arte europee, a prescindere dal paese di provenienza. In funzione di tale obiettivo, le truppe napoleoniche saccheggiarono mezza Europa. Tra il 1796 ed il 1814 solo in Italia oltre 500 dipinti (per tacere delle sculture e delle altre tipologie di opere) furono prelevati dalle truppe francesi, inviati a Parigi e selezionati per il Louvre. Ciò, correlativamente alla soppressione di ordini religiosi, alla sconsacrazione forzata di chiese e monasteri trasformati in magazzini, stalle, locali per l’acquartieramento per le truppe, ecc., nonché al massacro di decine, centinaia di migliaia di religiosi, al martirio dei vandeani, all’imposizione forzata in mezza Europa della nefasta ideologia razionalistico-illuminista con tutte le sue perversioni che ben conosciamo e che sono alla base delle moderne società sconsacrate e laicizzate. Eppure, quando si parla di Napoleone, del suo pernicioso imperialismo (un altro esempio di inversione dell’imperium tradizionale), e dei “prelevamenti” di opere d’arte in tutto il continente, si usano sempre toni molto politicamente corretti e molto attenuati. E infatti, con riferimento alla mostra in oggetto, si parla del “sogno” museale di Napoleone.
Ben diversa sorte ha subito invece la medesima idea di Adolf Hitler di creare a Linz un Museo (il “Fuehrermuseum”) che avrebbe dovuto ospitare la più grande galleria d’arte del mondo, quindi un “Museo universale” nel senso sopra espresso, per la costituzione del quale furono del pari trafugate opere d’arte nei vari territori europei annessi al Reich. In questo caso, com’è noto, si è parlato di razzie e di saccheggi da parte dei terribili nazisti, sono stati girati vari filmetti che esaltassero gli immancabili, intrepidi americani che, nella veste di “Monuments men”, avrebbero recuperato le opere “salvando” l’arte europea dalla barbarie nazista (americani che però, poveretti, guarda caso non sono stati capaci di salvare Palmira dalla barbarie del Daesh… e via dicendo. Insomma, come al solito, due pesi e due misure, ad uso e consumo delle masse addomesticate.
(www.repubblica.it) – di Valentina Tosoni – 15.12.2016 – Vennero i francesi a portarci un palo ed una berretta che chiamavano libertà e ci rapirono monumenti preziosi ed averi”. Con queste parole Cosimo del Fante, ufficiale italiano al servizio di Napoleone, riassumeva cosa successe in Italia, durante le campagne napoleoniche. Per avere il più importante museo al mondo bisognava riempirlo di opere straordinarie, anche se non appartenevano alla tradizione del Paese che le avrebbe ospitate. A questa vicenda storica, in occasione del bicentenario della restituzione di una parte di quei capolavori, è dedicata la mostra alle Scuderie del Quirinale a Roma, “Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova” a cura di Valter Curzi, Carolina Brook e Claudio Parisi Presicce, che proseguirà fino al 12 marzo 2017. Quello che Napoleone portò via in parte Canova riuscì a far tornare. Infatti, il grande scultore grazie alla sua fama, era conosciuto in tutte le corti europee, sembrò il più adatto ad essere nominato commissario straordinario e fu messo a capo dell’operazione di recupero dallo stato Pontificio. Così, il 4 gennaio 1816 il «Diario di Roma», il giornale politico dello Stato Pontificio, scriveva: «Giunsero in questa Capitale diversi carri contenenti vari dei migliori capi d’opera in Pittura e Scultura, che con trasporto di giubilo e per il Bene delle Arti, ritornano ad associarsi a questi Monumenti Romani, vale a dire a quel centro di riunione ch’è il solo capace di formare gli Artisti e d’inspirar loro la sublimità de’ concetti. Questo avvenimento ha eccitato il più grande entusiasmo del Popolo Romano».
Le opere facevano ritorno per lo più dal museo rivoluzionario del Louvre. Nominato subito dopo la sua apertura nel 1793 Muséum National, non si poteva presentare al pubblico moderno solo con le collezioni della Corona e quelle dei suoi aristocratici in fuga, ma doveva mostrare, per rispecchiare un’idea d’istituzione di “libertà”, il meglio che l’arte aveva prodotto nei secoli. Napoleone Bonaparte, al comando della prima campagna in Italia del 1796, su indicazione del Direttorio, decise allora di svolgere in maniera capillare una selezione di opere che avrebbero arricchito il museo enciclopedico francese. Quindi, fu istituita una Commissione di artisti e studiosi che di fatto andarono a rapinare opere d’arte, ma anche preziosi, oro e argenteria (un lavoro del Cellini ha rischiato di essere fuso, per trasformarsi in monete, se non fosse intervenuto il Commissario politico Charles Rehinard ad impedirlo) e quanto potesse servire ad allestire le sale del nuovo museo parigino, oltre a far cassa per mantenere l’Armée.
Negli anni che vanno dal 1796 al 1814 la Commissione di esperti, guidata da Dominique Vivant-Denon, vero e proprio trafugatore, della quale faceva parte Andrea Appiani che darà vita alla Pinacoteca di Brera voluta proprio da Napoleone nel 1805, passò al setaccio musei, raccolte pubbliche e private, edifici sacri, conventi, ville e palazzi arraffando quanto più poteva. Le scelte si orientavano verso capolavori dell’antichità e del Rinascimento, lavori della tradizione accademica, che la storiografia già riconosceva come fondamentali della cultura figurativa occidentale. Così furano portate via sculture come L’Apollo del Belvedere, che Wilckelman aveva fissato come canone del bello ideale, e il Laocoonte, insieme a quasi tutta la produzione di Raffaello. Napoleone pensò di mascherare il furto introducendo nei trattati di pace la clausola che prevedeva, a titolo di riparazione, oltre a ingenti somme di danaro, anche la cessione di un buon numero di opere d’arte. Perciò dopo Waterloo i legittimi proprietari trovarono ostacoli insuperabili per tornarne in possesso. Nel nostro Paese che letteralmente razziò, soltanto fra i dipinti, ne rubò 506, di cui la metà venne restituita dopo la sua caduta, mentre le altre centinaia non fecero mai ritorno.
Tra le opere in mostra ci sono autentici capolavori: il Ritratto di Papa Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de Rossi, di Raffaello che arriva dalla galleria degli Uffizi, La strage degli innocenti di Guido Reni dalla Pinacoteca di Bologna, L’Assunzione della Vergine di Tiziano dal Duomo di Verona, il Compianto sul Cristo morto di Correggio e la Deposizione di Annibale Carracci dalla Galleria nazionale di Parma, la Cattedra di San Pietro del Guercino dalla Pinacoteca di Cento, il Battista tra i Quattro Santi di Perugino dalla Galleria nazionale dell’Umbria. Trai i capolavori della statuaria classica ci sono la Venere Capitolina dai Musei Capitolini e il Giove di Otricoli dai Musei Vaticani. L’esibizione segna poi l’esordio delle Scuderie del Quirinale, come nuovo spazio espositivo autonomo, affidato dalla Presidenza della Repubblica al ministero per i Beni e le attività culturali e quindi ad Ales, presieduta da Mario De Simoni.