Pound e Marinetti bacchettano la Cassazione sui licenziamenti

602

pound

Ironia della sorte: più, in questa repubblica “fondata sul lavoro”, si parla di diritti, più le tutele a favore dei lavoratori vengono erose.
Il mondo del benessere e delle sicurezze piccolo-borghesi sta crollando giorno dopo giorno, legge dopo legge, sentenza dopo sentenza. L’ultima, quella della Cassazione del dicembre scorso che giudica legittimo il licenziamento per “rendere più efficiente la gestione dell’azienda”. Cioè, per aumentare il profitto. 
Non sarebbe il caso, cari magistrati, di fermarsi un attimino a riflettere sul ruolo del capitale e del denaro in una civiltà normale? Ripartendo, magari, da Ezra Pound?

(www.stanza101.org) – di Francesco Marrara – 14/01/2017 – Il 2016 si è appena concluso lasciandoci in serbo una sorprendente novità. Lo scorso 7 dicembre 2016, la Cassazione – con sentenza n.25201 – ha annunciato un nuovo capitolo nel mondo del diritto del lavoro: il datore di lavoro può licenziare il proprio dipendente per “rendere più efficiente e funzionale la gestione dell’azienda” e per far fronte a “sfavorevoli situazioni o necessità di sostenere notevoli spese straordinarie”. In nome della libertà di iniziativa economica privata – sancita dall’articolo 41 della costituzione – il datore di lavoro può licenziare per incrementare la redditività e quindi, per farla breve, in ragione del profitto. Sentenza umanamente immorale, oltre che, per molti versi, in controtendenza con quanto esposto dal comma 2 dello stesso articolo 41, il quale disciplina che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Con questo provvedimento non vengono palesemente lese la sicurezza, la libertà, la dignità del lavoratore? In nome della concezione usurocratica del profitto ci si è totalmente dimenticati della funzione sociale dell’attività d’impresa. Il lavoro è stato ridotto a mera fonte di schiavitù e mercantilismo, pratiche contro le quali lottarono Ezra Pound e Filippo Tommaso Marinetti. Il primo, studiando e analizzando  l’origine del denaro; il secondo, scagliandosi contro il mercantilismo, l’affarismo e l’avarizia, concepì il denaro come strumento per finanziare il rinnovamento della cultura e delle idee. Leggendo con attenzione la singolare opera di Antonio Pantano e Antonio Saccoccio  “A che serve il denaro? Pound e Marinetti contro affarismo e denarocentrismo”, si possono trovare molti parallelismi tra ciò che denunciarono al loro tempo Pound e Marinetti e la recentissima pronuncia della Cassazione. Il poeta americano, avrebbe definito questo provvedimento giudiziale come un’attività umana condizionata dai “sifilitici della borsa e del denaro”. Il poeta Marinetti, attraverso la sua spiccata genialità, ne avrebbe recriminato la “vigliaccheria morale e fisica” tipica degli sfruttatori. Quest’ultimi, liberi di agire indisturbati nella gestione del denaro e al tempo stesso esenti da qualsiasi obbligo di rendiconto nei confronti della collettività.

Lor signori sono in carenza di manodopera da sfruttare con voucher e false promesse di nuovi e accomodanti posti di lavoro. Evidentemente, l’esercito industriale di riserva – abbindolato dalla propaganda mediatica – ha preferito salvaguardare l’imposizione della nuova moda dei diritti civili, rinunciando definitivamente ai ben più proficui diritti sociali.