Razza e identità oggi non contano più nulla. Quindi perchè non fare come Rachel Dolezal, che si è finta nera per anni (forse perché essere ‘minoranza’, al giorno d’oggi, conviene)?
Peccato che poi è stata scoperta e sbugiardata. E davanti alla figura barbina, la mitomane ha rivendicato la sua identità “trans-black”. Si, vabbè.
(www.wired.it) – Rachel Dolezal, l’afroamericana bianca che si dichiara “trans-black”
Dopo anni di vita in incognito tra gli afroamericani, è stata scoperta: in realtà è bianca. Ma si sente nera, e rivendica la sua identità transetnica
Nel giugno 2015, Rachel Dolezal era già nota alle cronache della sua città – Spokane, nello stato di Washington – in quanto leader della comunità afroamericana. Era presidente della sede locale del Naacp, la più nota organizzazione per i diritti civili degli Stati Uniti; insegnava Studi africani alla Eastern Washington University; era a capo della commissione di indagine sui pregiudizi razziali della polizia e scriveva per il giornale cittadino. Aveva trasmesso i suoi valori anche ai due figli, che cresceva da sola dopo il divorzio dal marito, un medico afroamericano. Dolezalraccontava che era nata in una famiglia molto religiosa del Montana, da una relazione extraconiugale che sua madre, bianca, aveva avuto con un uomo nero. Il patrigno, bianco anche lui, puniva spesso lei e i suoi fratelli adottivi perché avevano la pelle troppo scura, cosa che l’aveva spinta a combattere contro la discriminazione. Insomma, una vicenda molto edificante, sotto tutti i punti di vista.
A far crollare il castello di carte, però, è stato un post su Facebook: la foto di un uomo afroamericano, l’ennesima, che Rachel pubblicò sulla sua bacheca con la didascalia “Mio padre”. Gli esasperati genitori informarono i giornalisti della zona che non esisteva alcun padre biologico nero, mostrando alcune foto della figlia da adolescente: una graziosa ragazzina bianca e bionda. Messa alle strette in un’intervista ormai diventata virale,Dolezal sfuggì alle telecamere senza dare risposte sulla sua vera etnia.
Le conseguenze furono immediate: perse il lavoro e tutte le cariche che ricopriva, mentre familiari e ex colleghi rilasciavano dichiarazioni da cui emergeva il ritratto di una donna fortemente disturbata, che tentava in tutti i modi di spacciarsi per ciò che non era modificando il proprio aspettoe il proprio passato. Le ci vollero altri cinque mesi di assedio da parte della stampa per ammettere le sue origini caucasiche, sollevando ulteriori controversie: “Riconosco di essere nata da genitori bianchi, ma mi identifico come persona nera”.
A quasi due anni di distanza, negli Usa il clamore relativo al caso Dolezal non accenna a diminuire. Anche perché qualche giorno fa è stata pubblicata l’autobiografia della diretta interessata, dal titolo In Full Color, in precedenza rifiutata da oltre 30 case editrici. Nel libro la Dolezal spiega di essere trans-black: anziché essere nata in un corpo di sesso sbagliato, è nata in un corpo di etnia sbagliata. Si sente in tutto e per tutto nera, e ciò che ha fatto è stato per avvicinarsi all’immagine di sé che percepisce come autentica.
Il neologismo da lei coniato ovviamente ancora non ha alcun riscontro nella comunità scientifica, ma ha generato un acceso dibattito. Se è possibile essere transessuali, perché non dovrebbe essere possibile esseretransracial? In fondo al giorno d’oggi tutto è lecito: perfino i cosiddettitransabili, persone sane che bramano una disabilità, hanno ottenuto la certificazione psichiatrica di pazienti affetti da Body Integrity Identity Disorder (Biid). “L’identità soggettiva ci aiuta a sentirci persone coerenti, un unicum, nonostante abbiamo tante sfaccettature e ci evolviamo nel tempo”, commenta Anna Giulia Curti, psicologa e psicoterapeuta che da anni si occupa di identità di genere. “Oggi siamo spesso liberi di autodeterminare questa identità, possiamo scegliere cosa essere e come esserlo. Nella nostra società, però, ci sono temi che suscitano divisioni profonde: nel caso del sesso, dell’integrità fisica e dell’etnia si va a toccare questioni genetiche, decise dalla natura, e la natura è percepita inconsciamente come giusta”.
Nell’autobiografia, Rachel Dolezal mostra i suoi scarabocchi infantili, in cui rifiutava il suo riflesso nello specchio e si disegnava come una bambina scura dai capelli ricci. Racconta che le sue bambole di pezza erano nere, i fratelli adottivi con cui è cresciuta erano di origine africana e ha sempre avuto gli stessi interessi e gli stessi gusti degli afroamericani. “Credo che definirmi nera o trans-black sia molto più accurato, piuttosto che dire ‘Sono bianca’”, ha dichiarato in una recente intervista al Guardian. Molti la vedono come una novella Caitlyn Jenner, che è ormai un simbolo della causa transessuale in America. E sul paragone tra le loro esperienze ha le idee molto chiare: “Ogni transizione ha caratteristiche e sfide uniche, ma ci sono delle similitudini: cerchiamo di armonizzare l’aspetto esteriore con ciò che sentiamo dentro. Eppure molti vedono in me e in Caitlyn solo lacategoria in cui siamo nate”, ha detto alla Cnn.
Il parallelismo, però, non necessariamente si spinge più in là di così, spiega Curti: “C’è una bella differenza tra adottare degli espedienti estetici per sembrare di un altro gruppo etnico e sottoporsi a una serie di interventi chirurgici per la riconversione del genere. Sono scelte meno incisive, reversibili. Nel caso di Dolezal ci sarebbe da riflettere più che altro sullasfera sociologica, sull’insofferenza ai limiti che il nostro corpo ci pone: non possiamo essere sempre tutto ciò che vogliamo, ma oggi non lo accettiamo più“. Impossibile però stabilire la condizione psicologica di una persona senza aver fatto un’indagine più profonda: “Difficile dare un parere su due piedi: il caso andrebbe studiato. Sono temi che richiedono molta attenzione”.
In effetti, forse anche in assenza di riscontri dal mondo accademico rispetto all’esistenza della transetnicità, negli States la maggioranza non prova alcuna simpatia per Rachel Dolezal, tant’è che non ha mai più trovato un lavoro ed è totalmente alienata dalla vita pubblica. Il dubbio di tanti è che menta sulla natura innata della sua condizione, e le tensioni degli ultimi anni non hanno contribuito a distendere gli animi: la comunità afroamericana la accusa di essersi appropriata della cultura nera, mentre i bianchi di aver rifiutato la sua gente. Probabilmente l’America diTrump non è il contesto migliore per analizzare la vicenda a mente fredda.