Siria, corsa alla “liberazione” o all'”occupazione”?

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Diffuse dalla forze armate americane le immagini dei loro cannoni che colpiscono Raqqa, roccaforte dello stato islamico e aprono una breccia nelle mura antiche. Arrivare primi significherebbe un grande colpo per l’amministrazione Trump,  un successo di portata mondiale. Ma le truppe di Mosca non sono disposte a rimanere a guardare. E la nuova guerra fredda diventa anche mediatica.

(www.repubblica.it) – 07/07/2017 – Finora erano invisibili: i soldati americani che combattevano in Siria si tenevano nascosti, per non manifestare la presenza sul campo. Il presidente Obama aveva promesso che non ci sarebbero stati “scarponi sul terreno” e le missioni delle special force rimanevano nell’ombra. Ne trapelavano rare foto, con anonimi commandos riconoscibili solo dalla minuscola bandierina a stelle e strisce sulla manica, spesso affiancata al sole curdo. Ma ora è cambiato tutto e i marines hanno diffuso il primo video ufficiale della loro attività alle porte di Raqqa. Immagini spettacolari di una posizione d’artiglieria, che spara senza sosta proiettili da 155 millimetri contro la roccaforte del Califfato, sotto assedio da quasi un mese.

La Siria infatti è diventata il fronte più caldo della nuova guerra fredda. Da una parte i russi, schierati con il regime di Damasco. Dall’altra gli americani, affiancati alle brigate curde e arabe. Un confronto sempre più teso, con incidenti frequenti. Due settimane fa i caccia statunitensi hanno abbattuto un Sukhoi Su-22 che stava bombardando le avanguardie curde, poi è stata la volta di un drone armato iraniano. E il contingente del Pentagono cresce di giorno in giorno: si stima che oggi possa contare su 1500 militari, divisi in sette basi. Truppe che adesso ostentano la loro nazionalità, circolando in colonne di mezzi con le bandiere spiegate al vento.

La sfida si gioca sulla conquista di Raqqa. E gli americani sembrano vicini al successo: proprio i loro cannoni martedì hanno aperto una breccia nelle mura antiche della città. Arrivare primi significherebbe un grande colpo per l’amministrazione Trump, che potrebbe vantare un successo di portata mondiale. Ma i russi non sono disposti a rimanere a guardare. Sfruttano le relazioni privilegiate con Turchia e Iran per lanciare zone cuscinetto, da presidiare con i loro battaglioni, in modo da essere in prima linea per soffocare le sacche di resistenza dell’Isis. E danno massima visibilità ai loro raid: l’annuncio della probabile uccisione di Al Baghdadi fa parte di questa offensiva mediatica. Una notizia che gli Usa non hanno confermato, ma neppure smentito, offrendo anzi un indizio significativo sulla sorte dell’autoproclamato Califfo: “Di sicuro non è più in contatto con le milizie sul campo”.

Insomma, uno scenario complesso dove il rischio di incidenti resta altissimo. Ogni giorno stormi occidentali, russi e siriani si sfiorano nei cieli della Siria, dove non esiste una linea del fronte e ogni errore nei bombardamenti può innescare una crisi. Materia delicata, che molti ritengono sarà al centro anche del colloquio tra Putin e Trump durante il G20 di Amburgo.