Chi ha paura dell’Operaio di Jünger? Recensione a “L’Operaio nel pensiero di Ernst Jünger” a cura di RigenerAzione Evola.
(www.rigenerazionevola.it) – 03/09/2017 – A Julius Evola si deve il merito di aver contribuito a diffondere e conoscere numerosi autori. Uno di questi è Ernst Jünger. Evola, infatti, si è attenzionato all’opera e agli scritti jüngheriani già prima della Seconda Guerra Mondiale, quando il nome di Jünger iniziava ad essere appena conosciuto fra i germanisti italiani.
L’opera principale di Jünger, secondo Evola, fu senz’altro L’operaio, opera del 1932 e che trovò una traduzione in italiano solo nel 1985. Tuttavia, Evola fu il primo già negli anni Cinquanta a cercare di tradurlo. Non essendo riuscito nella sua operazione decise, anche in ragione dell’idea di rettificare alcune parti del pensiero di Jünger, di scrivere un libro sull’Operaio potendo così commentare e selezionare le parti più interessanti del testo. Nacque così L’operaio nel pensiero di Ernst Jünger del 1960.
Del rapporto Evola-Jünger RigenerAzione Evola avrà presto ad occuparsene con una iniziativa editoriale specifica di cui daremo a breve notizia. Oggi, invece, vogliamo partire proprio dal saggio di Evola su Jünger per alcune considerazioni che avremo poi modo meglio di sviluppare in questo libro specifico.
Anzitutto, ci preme notare come questo sia uno dei libri “scomodi” di Evola. Nel senso che meno di tutti trovano eco e risonanza fra gli epigoni di questo Maestro della Tradizione. Un pò come Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, questo libro di Evola non è per fama, visibilità e interesse fra quelli più noti.
Il motivo? E’ strano infatti se ponderato col fatto che Evola di e su Jünger tornò a parlare praticamente in oltre trent’anni di produzione editoriale e giornalistica. Fra tutti le “intelligenze scomode” del ‘900, infatti, Ernst Jünger fu un riferimento costante per Evola, seppur con alcune prese di distanze via via più forti. Ma lo Jünger del quale vogliamo concentrarci a parlare, e che costituisce il cuore della lettura evoliana di quest’ultimo è quello dell’Operaio.
Fu lo stesso Evola infatti a riconoscersi nella fase jüngheriana che dalle Tempeste d’Acciaio (1920), passando appunto per L’operaio (1932), arriva alle Scogliere di Marmo (1939). Dopo il 1945 Evola prese sempre più le distanze dalle nuove posizioni jungheriane, salvo qualche eccezione dovuta a libri che rivedevano positivamente alcune delle posizioni jüngheriana del passato (p. es. Al muro del tempo) senza quindi entusiasmarsi particolarmente per la fase del “passaggio al bosco”, anzi, e rimanendo legato alla stagione dell’Operaio.
Catena di montaggio
Sicuramente a rendere non particolarmente gradito ai più questo testo di Evola contribuisce il fatto che, in esso, emerge una politicità fortissima. Evola infatti vede nel modello dell’operaio una risposta davvero suggestiva (seppur non completa) alle sfide della modernità, ovvero al problema della visione ed al significato della vita nell’epoca moderna.
La preoccupazione dell’Evola-politico è sempre stata quella di dare una configurazione plastica e vivente, reale ed attuale, a quella concezione antiborghese e antivitalistica della vita. Le sfide della modernità (il libro è del 1932), ed in particolare di una tecnica che aveva dimostrato con la Prima Guerra Mondiale di costituire il vero paradigma dell’età contemporanea, fanno del modello dell’operaio un riferimento centrale per Evola. Evola, su questo, vede oltre lo stesso Jünger che dopo gli anni Trenta abbandona sostanzialmente il tema: per Evola la tecnica sembra già presentire quella dimensione liquida che essa avrebbe poi assunto negli anni a venire. La preveggenza di Evola sta dunque, nell’andare oltre la forma più tipica e conosciuta della tecnica, capendo che essa anche sublimando formalmente se stessa in orizzonti sempre più fluidi, avrebbe comunque continuato a costituire il termine di confronto dell’uomo moderno.
Le dinamiche distruttive ed elementari della tecnica, azzerando ogni contraddizione di un mondo ormai logoro e de-valorizzato, possono essere padroneggiate? E’ possibile, paradossalmente, trasformare in Spirito ciò che, costitutivamente, è l’anti-Spirito, cioè la tecnica e l’elementarità? Sì secondo Jünger. Sì anche secondo Evola ma al primo contesterà sempre di aver mancato in parte il bersaglio. Manca infatti al tipo jungheriano il riempimento di uno spazio spirituale che resta inesorabilmente vuoto, una “teologia” adeguata non c’è. Il parlare di metafisica da parte di Jünger resta così un esercizio suggestivo ma piuttosto limitato, perché manca quella giustificazione superiore che solo il piano spirituale può dare.
Evola dunque “boccia” Jünger ed il suo operaio? Affatto. Il valore di questo, riconosce Evola, sta anzitutto sul piano etico ed esistenziale. Senza dimenticare che raggiungere tale linee, rispetto alla subumanità che ci circonda (dentro e fuori!), sarebbe il primo passo per ogni serio lavoro di rettificazione del carattere e base, quindi, per un’ascesi vera e propria.
Sui perché, ancora oggi, a Destra si legga solo un certo Jünger e le indicazioni di Evola non abbiano poi trovato un vero seguito, molti sarebbero i motivi da indicare. A Destra, del resto, le suggestioni del Trattato del Ribelle hanno sempre avuto ben più spazio e simpatia che non le austere, metalliche, proposizioni dell’Operaio. Forse in questo ha giocato un ruolo anche il tentativo che, a partire dagli anni ‘70-’80, ha visto la c.d. “Nuova Destra” rielaborare il pantheon culturale della Destra extraparlamentare nel maldestro tentativo di edulcorare dove necessario e accreditarsi culturalmente dove possibile. Jünger servì molto bene all’operazione, più vastamente inserita in quel lavoro di recupero della Rivoluzione Conservatrice, quasi a presa di distanza dal successivo regime Nazionalsocialista.
Oggi sarebbe il caso di liberarsi di tutti questi condizionamenti da “peccato originale” e tornare ad elevarsi sugli orizzonti verticali dell’operaio. Un mondo ormai abitato non più da uomini, ma da consumatori e da utenti digitali, che ha dimenticato anche anche il senso di una vita “normale”, umana troppo umana, ha disperatamente bisogno dell’operaio. Leggere per credere.
*
L’operaio nel pensiero di Ernst Jünger
Autore: Julius Evola
Edizioni Mediterranee, 1998. 184 pp.
Per acquistare la tua copia, CLICCA QUI!