(a cura della Redazione di AT)
Sempre più umano, sempre più laico, sempre meno … Papa. Bergoglio, noto per le sue frequenti quanto sconsiderate “uscite” dialettiche, dopo aver tra le altre cose riabilitato il Luteranesimo, ha deciso di far sapere al mondo intero che anche lui, molti anni fa, ha fatto ricorso alla psichiatria
Lo ha infatti rivelato in un libro-intervista che sarà pubblicato in Francia, contenente dodici dialoghi che il “vescovo di Roma” ha avuto non con un teologo o comunque con un maestro spirituale, magari di un’altra religione, ma con un sociologo, tale Dominique Wolton: tanto per confermare che quando l’essoterismo religioso si laicizza, scadendo in banale catechesi sociale e moralismo spicciolo, la differenza con la sociologia, per la gioia di tutti gli “atei devoti” del pianeta, si fa molto tenue.
Nell’intervista, Bergoglio si è lasciato andare di nuovo, come ama fare quando può parlare un po’ in relax, a qualche dichiarazione fuori dalle righe. Dapprima sul suo status di “recluso” (“sono in una gabbia qui al Vaticano”), poi sui preti e i giovani troppo rigidi (?) (“preti rigidi, che hanno paura di comunicare. È una forma di fondamentalismo. Quando m’imbatto in una persona rigida, soprattutto giovane, mi dico che è malato. Sono persone che in realtà ricercano una loro sicurezza”) quindi, sulla teologia della Chiesa d’oggi e sull’Europa che si “chiude” [“ La nostra è una teologia di migranti (?!), perché lo siamo tutti fin dall’appello di Abramo, con tutte le migrazioni del popolo d’Israele. E lo stesso Gesù è stato un rifugiato, un migrante. Esistenzialmente, attraverso la fede, siamo dei migranti (?). La dignità umana implica necessariamente di essere in cammino. L’Europa in questo momento ha paura. Chiude, chiude, chiude …” – a chi e a cosa chiude, dato che ormai ha perso ogni identità, verrebbe da dire?? -], e sul tema dello Stato laico, con la piena adesione all’interpretazione notoriamente grave e banale della celebre frase evangelica ed una piccola bacchettata alla Francia, “corretta” subito dallo strafalcione secondo cui la laicità dei transalpini dovrebbe “elevarsi”(?!) [“lo Stato laico è una cosa sana (!), Gesù l’ha detto: bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Credo che in certi Paesi, come la Francia, la laicità abbia una colorazione ereditata dai Lumi davvero troppo forte, che costruisce un immaginario collettivo in cui le religioni sono viste come una sottocultura. Credo che la Francia dovrebbe elevare un po’ il livello della sua laicità”].
Ma il vero “botto” Bergoglio lo ha fatto quando, appunto, ha rivelato che per sei mesi, a cavallo degli anni 1978-1979, da giovane sacerdote, appena terminato il suo incarico di provinciale dei gesuiti d’Argentina ed assunto quello di rettore del Collegio Máximo, dove venivano formati gli studenti che volevano entrare nella Compagnia di Gesù, si affidò alle cure di una psicanalista ebrea per superare le difficoltà connesse a tale periodo della sua vita.
Indipendentemente dall’utilità pratica che possa eventualmente aver avuto a titolo strettamente personale per Bergoglio tale periodo di “analisi” (anche se per un sacerdote le vie per superare un periodo buio dovrebbero essere ben altre, di carattere evidentemente spirituale, senza dover attingere ai pericoli abissi dell’inconscio e dell’irrazionale), da un punto di vista Tradizionale appare decisamente grave che il Pontefice della Chiesa Cattolica faccia una rivelazione che potrebbe trasformarsi in un implicito suggerimento rivolto a tutto il mondo dei fedeli cattolici a non disdegnare l’utilizzo della psicanalisi in caso di necessità.
In realtà, Bergoglio è andato ben oltre, poiché rivolgendosi ai rettori e agli alunni dei Pontifici Collegi e Convitti romani, pur suggerendo di aprirsi prima alla Madonna in preghiera, aveva consigliato, “nei momenti di turbolenza”, di non farsi scrupoli ad affidarsi alle “cure” dello psichiatra: “In questo tempo di tanta modernità buona (!), della psichiatria, della psicologia (!), in questi momenti di turbolenza credo che sarebbe meglio andare dallo psichiatra che mi aiuti. Non scarto questo, ma prima di tutto andare alla Madre: perché ad un prete che si dimentica della Madre, e soprattutto nei momenti di turbolenza, qualcosa manca”. Ecco le sue incredibili parole: per lui, questi sono tempi di tanta “buona modernità”, tra cui rientrano a pieno titolo psichiatria e psicologia …
Non è questa la sede per dilungarci troppo sul significato antitradizionale e sovversivo della psicanalisi, anche perché chi possiede anche una minima infarinatura dottrinaria sa bene di cosa si tratta. Nel rinviare per i dovuti approfondimenti a Guènon (ad es. “misfatti della psicanalisi”, cap. 34 de “Il regno della quantità e i segni dei tempi”) e ad Evola (“critica della psicanalisi”, capitolo III di “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo”, nonché l’antologia di scritti in materia pubblicata come Quaderno della Fondazione Evola, intitolata “L’infezione psicanalista. Scritti sulla psicanalisi 1930-1974”), ricordiamo alcuni punti importanti in materia.
Innanzitutto, è fondamentale capire che la funzione sovversiva della psicanalisi si è costruita nel momento in cui si è scientemente proceduto ad estendere l’ambito applicativo delle concezioni proprie alla psicoterapia al di fuori dell’ambito patologico in cui esse possono eventualmente essere efficaci (sia pure con tutti i rischi del caso, come messo in evidenza dallo stesso Guénon), facendone così una vera e propria “contro-scienza” applicabile ad ogni aspetto della vita umana, dalla morale all’arte, dalla sessuologia alla religione, dalla mitologia alla sociologia ed alla politica. Il tutto, collocando in particolare, come avvenuto con la psicanalisi freudiana, la forza motrice principale della psiche umana nell’inconscio (il celebre Es), di cui il tronco fondamentale proprio per Freud era, com’è noto, individuato nella libido, nell’impulso al piacere, principalmente sessuale, con conseguente disconoscimento della presenza nell’uomo di qualsiasi centro spirituale sovrano.
Con l’approccio psicanalitico esteso a trecentosessanta gradi, e con la patologia che diventa fisiologia, normalità, regola, viene quindi cancellata la dimensione sovra-razionale dell’essere umano, il cui baricentro viene posto nei pericolosi e “malati” anfratti dell’inconscio, dominato soprattutto dal complesso sessuale nelle sue forme più sub-personali ed oscure, e le cui cariche dovrebbero o scaricarsi tramite il noto sistema delle trasposizioni o sublimazioni, oppure tramite un soddisfacimento diretto e consapevole dei relativi impulsi.
L’Io, che subisce l’azione dell’inconscio, diventa elemento meramente passivo, ed a livello cosciente viene sostituito dal fantoccio del super-Io, prodotto dell’accumulo di tutte le interdizioni, le limitazioni ed i tabù imposti dall’ambiente esteriore, al fine di reprimere e censurare le istanze dell’inconscio (una sorta di sovrastruttura di marxiana memoria, sostanzialmente).
Varianti della psicanalisi come quella di Wilhelm Reich (che suggeriva la distruzione del sistema repressivo vigente quale vera via di liberazione terapeutica dell’uomo, tramite la rivoluzione sociale e principalmente sessuale – evidente è al riguardo l’influenza sul pensiero di un certo Herbert Marcuse -) o di Alfred Adler (per il quale la forza motrice dell’individuo sarebbe rappresentata dall’impulso di autoaffermazione del singolo anziché dalla libido) non spostano i termini della questione. Stessa cosa vale anche per la psicanalisi di Carl Gustav Jung, che pure ha riscosso talvolta approvazione anche in ambienti più tradizionalisti, per via di taluni suoi apparenti “correttivi” posti agli eccessi freudiani. In realtà Jung, sempre partendo da una prospettiva patologica che si estende alla totalità degli ambiti umani, si addentrò in campi misterici, cercò di indagare forme e strutture esoteriche senza avere gli strumenti adeguati, senza avere la pur minima cognizione delle dottrine metafisiche, e proprio per questo la sua impostazione risultò ancor più pericolosa: evidente è infatti il rischio di distorcere, alterare ed invertire contenuti spirituali sovraordinati. La “psicologia del profondo” junghiana, che doveva spiegare l’esperienza esoterica della “reintegrazione”, o l’elaborazione e la sopraelevazione del concetto di inconscio arcaico-collettivo, elemento “vitalistico” che costituirebbe il vero elemento primario cui l’Io dovrebbe tendere per superare il proprio sradicamento (richiamando peraltro certe istanze care all’immanentismo panteistico, al naturalismo, alle concezioni più “telluriche” dei ceppi etnici e della trasmissione nelle generazioni dei relativi elementi costitutivi di natura biologica e sub-razionale, e così via) lo stanno a dimostrare.
Guènon sottolineò senza mezzi termini che la funzione della psicanalisi, nelle attuali condizioni del mondo, era proprio quella di “concorrere attivamente alla seconda fase dell’azione antitradizionale (quella dissolutiva, n.d.s.”), e notò come la pretesa della psicologia ordinaria di “annettere, facendole entrare nel subconscio, certe cose che per la loro stessa natura le sfuggono completamente”, trovasse la sua spiegazione non solo e non tanto in un’ingenuità semplicistica, ma in un vero e proprio “carattere satanico”, emergente soprattutto nelle interpretazioni psicanalitiche del simbolismo tradizionale, o nel tentativo da dare il marchio di “simboli” a realtà “infraumane”. Evola e Guènon non poterono fare a meno di notare come la stessa prassi psicanalitica, nel rapporto tra terapeuta e paziente (con le svariate sfaccettature dell’esperienza del transfert), scimmiottasse pericolosamente il rapporto tra maestro spirituale e discepolo o tra confessore e devoto.
E ancora: il fatto stesso di evocare e “maneggiare” energie psichiche inferiori; di portare alla superficie rendendo coscienti contenuti tratti dai “bassifondi” dell’essere umano, ponendo in essere di fatto una discesa agli inferi che, non potendo essere seguita da una “risalita” (negando la prassi psicanalitica ogni rilevanza al dato spirituale), comporta un pericolosissimo crollo nel regno delle possibilità inferiori, da cui si viene sommersi e dominati senza possibilità di ascesi (la misterica “caduta nel pantano”); l’impronta della necessaria previa psicanalisi che ogni terapeuta deve aver ricevuto prima di poter a sua volta “operare” (secondo un accordo raggiunto dalle associazioni degli psicanalisti nel 1918), immagine evidente di una sorta di catena contro-iniziatica: sono tutti chiarissimi segnali della pericolosità del fenomeno in questione, nella sua voluta e ricercata applicazione in chiave diabolica.
Se la dottrina Tradizionale ci insegna che l’uomo è costituito da corpo, anima/psiche (nelle due componenti dell’anima inferiore e di quella superiore) e spirito (che, dopo la scompaginamento dell’unità dei tre elementi, si manifesta nella persona tramite l’anima superiore), possiamo ben intuire a quali risultati possa portare una “scienza” che analizzi e scavi nei bassifondi nell’essere umano (peraltro degradato, come quello moderno e contemporaneo), concependolo come formato soltanto da corpo ed anima inferiore, e che pretenda di innalzare, come dicevamo, la patologia a normalità.
Alla luce di quanto sommariamente esposto, appare perciò come un fatto di inaudita gravità che proprio la massima autorità del Cattolicesimo Apostolico Romano, con tanto candore, inviti fedeli, sacerdoti e teologi a non disdegnare la pratica psicanalitica, che rientrerebbe nella “buona modernità”… l’ennesima “bergogliata”, insomma.

In precedenza, c’era già stata qualche apertura da parte della Chiesa Cattolica verso la psichiatria. Nel 1952 Pio XII dichiarò: “È inesatto sostenere che il metodo pansessuale di una certa scuola di psicoanalisi sia parte indispensabile di ogni psicoterapia degna di tal nome”, come a dire che fosse inesatto ridurre tutta la psicanalisi agli eccessi del freudismo. Abbiamo cercato in modo inevitabilmente succinto di spiegare perché, comunque, anche se depurata del pansessualismo di Freud, la psicanalisi rimane una “scienza” monca e pericolosa, soprattutto laddove la si voglia condurre al di fuori dei ristretti ambiti patologici a lei riservati.
Qualche anno dopo, invece, nel luglio 1961, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, il Sant’Uffizio proibì significativamente ai preti di praticare la psicanalisi e ai seminaristi di sottoporvisi.
Una nuova apertura ci fu poi nell’enciclica “Sacerdotalis coelibatis” del 1967, in cui Paolo VI ammise la possibilità di ricorrere “all’assistenza e all’aiuto di un medico o di uno psicologo competenti” nei seminari. Nel 1973, durante un’udienza, sempre Paolo VI osservò, con timida apertura: “Abbiamo stima di questa ormai celebre corrente di studi antropologici, sebbene noi non li troviamo sempre coerenti fra loro, né sempre convalidati da esperienze soddisfacenti e benefiche”.
Certamente l’input dato ora da Bergoglio e la sua rivelazione “personale” vanno ben oltre, data anche la gravità dei tempi.
Un’ultima annotazione interessante: nel filmetto (ovviamente pluripremiato) “Habemus Papam” del 2011 di Nanni Moretti, guru italiano del cinema pseudo-impegnato “de sinistra”, il ridicolo umanissimo fantoccio che rappresenta il Papa secondo i “sinistri” canoni del regista, è un cardinale pieno di complessi, che soffre di depressione e di crisi di panico per un trauma giovanile causato dal fallimento della sua carriera di attore. Dopo essere scappato via al momento dell’elezione, il cardinale viene psicanalizzato dal professor Brezzi (lo stesso Nanni Moretti) dinnanzi al pur diffidente collegio cardinalizio (che poi verrà peraltro confinato in una clausura forzata in attesa dell’eventuale guarigione del neo-Papa …), per poi confidarsi ripetutamente con l’ex-moglie di Brezzi, anch’essa psicanalista. Al termine di una vicenda dai passaggi surreali e grotteschi, il cardinale confermerà la sua incapacità di guidare la Chiesa e fuggirà definitivamente.
Un quadretto allucinante di una Chiesa allucinata, e di un Papa incapace, debole e depresso, il cui problema esistenziale verrà individuato (ma non guarito) con la psicanalisi. Cosa dire, dinnanzi alla Chiesa di oggi, e dinnanzi a Papa Bergoglio, che col tempo appare un personaggio sempre più morettiano (come dimenticare le parole da lui pronunciate a Lesbo durante il suo viaggio nell’aprile del 2016: “Nei viaggi apostolici noi andiamo a fare tante cose, a vedere la gente, a parlare”, che riecheggiavano il “vedo ggente, faccio cose” del film di Moretti Ecce Bombo?), e che guarda caso non disdegna di consigliare a tutti la psicanalisi?