di Federico Biserni
(www.repubblica.it) – 30.11.2017 – L’80% degli Italiani preferisce brand inclusivi. Almeno stando a quanto emerge da uno studio condotto su un campione rappresentativo della popolazione italiana e presentato il 29 novembre a Milano da Diversity, associazione impegnata dal 2013 a sradicare dalla società italiana i pregiudizi e le discriminazioni, e Focus Mgmt, società di consulenza manageriale con forti competenze strategiche e digital. L’indagine ha raccolto le percezioni dei cittadini su sette forme di diversità: età, disabilità, etnia, genere, orientamento sessuale, religione e status socio-economico.
Perché è un dato importante?
I risultati del sondaggio sono importanti perché delineano uno scenario molto interessante: l’opinione pubblica sta diventando sempre più sensibile ai concetti di diversità e inclusione trasformandoli così in valori fondamentali anche per le aziende sul mercato. Come spiega Francesca Vecchioni, Presidente di Diversity: “Oggi più che mai il valore che ognuno di noi associa a un marchio, a un brand, a un’azienda, fa la differenza. La fa perché come consumatori scegliamo chi più ci rappresenta”.
“Oggi più che mai il valore che ognuno di noi associa a un marchio, a un brand, a un’azienda, fa la differenza”
Un marchio inclusivo riesce a parlare, dunque, a un pubblico molto più ampio e un pubblico più ampio significa un bacino di clienti potenziali più vasto. “Scegliamo chi ci assomiglia, chi riesce a parlarci davvero. Scegliamo di chi fidarci. Ascoltiamo i brand che parlano di noi e con noi, usando la nostra lingua. La nostra scelta è un potere, coglierla come responsabilità è un’opportunità”, continua Vecchioni.
“La nostra scelta è un potere, coglierla come responsabilità è un’opportunità”
L’obiettivo di Diversity è dunque quello di cambiare le strategie con le quali le aziende operano sul mercato spezzando un circolo vizioso comunicativo che penalizza diversità e inclusione, instaurando al contempo un circolo virtuoso che faccia leva sull’interesse da parte dei consumatori per queste tematiche. Che si rivela fondamentale nello sviluppo di un brand se si pensa che, sempre secondo lo studio di Diversity, il Net Promoter Score (un indice che mette in relazione i promotori e i detrattori del marchio e che viene usato in alcune grandi aziende per determinare i compensi dei top manager) per i brand inclusivi è del 70,8% mentre per quelli non inclusivi è addirittura negativo: -43%. Semplificando vuol dire che la stragrande maggioranza dei clienti di un brand inclusivo lo promuoverà spontaneamente ad altre persone.
Moda e Beauty
Come spesso accade i settori di moda e bellezza hanno anticipato questa tendenza di mercato. Negli ultimi anni le passerelle hanno legittimato scelte volte alla valorizzazione di concetti come diversità e inclusione con il coinvolgimento sempre più frequente di modelle lontane dai consueti canoni estetici, etnici o religiosi. Emblematica l’ascesa di personaggi come Winnie Harlow, Adwoa Abah (entrambe in lizza per il titolo di modella del 2017), Slick Woods o Halima Aden. Dall’altra parte sempre più truccatori durante le sfilate applicano make up non standardizzati in grado di valorizzare le particolarità e gli incarnati delle modelle.
Ma c’è di più: quei brand che hanno saputo sposare la “battaglia” per l’inclusione sono stati largamente premiati.
Due casi su tutti: Gucci per la moda e Fenty Beauty by Rihanna per la bellezza. Il primo, a partire dal 2015, con Alessandro Michele come Direttore Creativo, ha “inquinato” il concetto di bellezza con l’estetica dell’imperfezione e oggi è il brand di moda che più cresce e che più è amato tra i giovanissimi.
Il secondo è stato un vero e proprio caso diventando in pochissimo tempo un colosso nel settore cosmetico grazie, certamente, al potere mediatico di Rihanna, ma anche alla capacità di creare una linea di make up adatta a tutte le donne. E le 40 tonalità di fondotinta ne sono l’esempio lampante.
Infine Benetton che torna a collaborare con il fotografo Oliviero Toscani con una campagna sull’integrazione che rinnova la centralità di un tema caro alla storia del brand. Il fotografo, che della rappresentazione dell’unicità e della diversità ha fatto una caratteristica emblematica della sua carriera, ha voluto sottolineare l’urgenza della discussione: “Il problema del mondo attuale è l’integrazione. Il futuro si giocherà su quanto e come sapremo usare la nostra intelligenza per integrare il diverso, superando le paure”.
“Il problema del mondo attuale è l’integrazione. Il futuro si giocherà su quanto e come sapremo usare la nostra intelligenza per integrare il diverso, superando le paure”
Diversity Brand Summit
La ricerca presentata a Milano da Diversity non è però fine a se stessa. È soltanto il primo passo di un impegno più a lungo termine che avrà uno snodo importante nel febbraio 2018 quando si terrà alla Fondazione Feltrinelli, sempre nel capoluogo lombardo, la prima edizione del Diversity Brand Summit.
Durante l’incontro verrà presentato anche il Diversity Brand Index (ovvero un indicatore che misura la capacità dei brand di essere percepiti come inclusivi e di lavorare fattivamente per sviluppare una cultura orientata alla diversità e all’inclusione) in base al quale verranno poi assegnati i Diversity Brand Award alle aziende che avranno dimostrato maggior sensibilità e partecipazione a queste tematiche.
L’attività di Diversity, è importante sottolinearlo, è patrocinata dal Comune di Milano, dalla Commissione Europea e dall’Ambasciata del Canada in Italia e ha ricevuto il sostegno di tantissime realtà, segno che sulla questione c’è un interesse condiviso: dal comitato interministeriale per i diritti umani ad Assocom, l’associazione aziende di comunicazione.