(www.georientamenti.org) – 14/12/2017 – Da sempre considerata luogo sacro e metafora di una vita condotta in senso verticale, la montagna può essere vissuta in tanti modi e allo stesso tempo può insegnare qualcosa di nuovo ogni volta che ci si approccia ad essa con il rispetto che gli è dovuto; a volte, ed è forse questo il caso, le intemperie e il tempo avverso adempiono ad una funzione educativa che ci scuote via quel torpore borghese di cui la modernità con tanta solerzia ci vuole vittime, nostro malgrado.
La vetta scelta questa volta è la Cima di Vallevona, una vetta di 1818mslm con un dislivello sviluppato dolcemente su un lungo percorso; sulla carta un’escursione lunga ma non particolarmente impegnativa.
Come ad ogni escursione l’appuntamento è di buon mattino. Il freddo pungente ci accoglie già lungo il tragitto, segnando i -10° e dandoci un assaggio di ciò che ci aspetta.
Si parte a quota 1000mslm dal Santuario della Madonna dei Bisognosi, un antichissimo santuario del 600d.c. ricco di affreschi e dalla storia travagliata.
Il tempo di attrezzarsi e si parte. Il terreno congelato sotto di noi scricchiola e le raffiche di vento ci accompagnano fin dall’inizio. Superiamo un bosco di alberi spogli e un’ampia cresta ove scorgiamo in lontananza il mare e il litorale nord, mentre intorno a noi il cielo si oscura.
Il percorso è lungo ma non troppo impegnativo; la strada si inerpica in salite dolci, seguite da tratti lunghi e pianeggianti ma esposti al gelo. Lastre di ghiaccio e la neve a terra sempre più alta ci indicano che oltre i 1500metri l’autunno ha lasciato precocemente il suo posto all’inverno, con la sua bellezza cristallizzata e non manifesta.
Superiamo una serie di tratti più ripidi tra i boschi per poi raggiungere la lunghissima cresta che ci separa dalla cima; un chilometro e mezzo più avanti e venti metri più in alto. Il ghiaccio a terra rende pericoloso procedere sotto cresta, quindi siamo costretti a procedere lungo la lingua di terra e neve esposta ai venti. L’ultimo tratto sembra non finire mai, ma infine una piccola croce di legno coperta di ghiaccio ci indica la fine del nostro cammino.
Foto di rito e siamo di nuovo in partenza. Il clima non ci permette pause, e il cielo che annunciava neve ci tiene a non smentirsi: una nevicata scagliata orizzontalmente dal vento ci accompagna per tutto il ritorno fino a trasformarsi in una fiabesca nevicata dai fiocchi giganti quando finalmente raggiungiamo i pressi del convento, strappandoci un sorriso.
Torniamo bagnati, infreddoliti, affamati; eppure nessuno sembra preoccuparsene. Negli occhi di tutti balena un lampo di gioia; quella gioia che pochi altri posti al mondo al di fuori della montagna sanno ancora dare. Una gioia difficile da rendere a parole e probabilmente inspiegabile agli occhi di chi ha fatto dell’utilitarismo moderno il proprio dio.
Eppure tanto semplice e comprensibile per chi ancora crede alle cose belle e ‘in-utili’ della vita.