
(commento a cura del Cuib Femminile Raido)
I giudici della Corte Costituzionale hanno preso posizione riguardo alla legalizzazione della maternità surrogata in Italia, affrontando la spinosa questione giuridica. Nella recente sentenza dei giudici della Consulta è stata infatti sottolineata l’importanza di effettuare un discrimen tra i casi in cui l’interesse di tutela del minore con le forme ordinarie è in assoluto prevalente, rispetto ai casi in cui la tutela non può attuarsi con la tolleranza di forme contrarie “al nostro corpus giuridico” quali appunto la maternità surrogata che, è stato ribadito, “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane“.
Per garantire dunque la tutela del minore senza legalizzare derive pericolosamente sovversive, viene in soccorso un istituto tanto antico quanto nobile: l’adozione. Infatti la c.d. “madre surrogata” può legalmente tutelare gli interessi del minore nonché i propri utilizzando lo strumento dell’adozione già proprio del sistema giuridico italiano senza pretendere di trapiantare forme che non sono e non vogliamo che siano parte della nostra cultura, né tantomeno del Diritto italiano.
In Italia, dunque, questo moderno abominio rimane fuori dai confini della legalità. Ma la domanda è: quanto durerà?
(www.avvenire.it) – 29/12/2017 – La Corte costituzionale: maternità surrogata, offesa intollerabile alla donna
«Vi sono casi – ricorda la Consulta – nei quali la valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge, come accade con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa (il coniuge o il convivente che ha prestato il consenso al figlio non può disconoscerlo, anche se non gli ha impresso i propri geni)». In altri, invece, lascia la possibilità che vengano valutate le singole situazioni, e a tal proposito i giudici costituzionali forniscono tre criteri per orientare la decisione: «Durata del rapporto instauratosi col minore», «modalità del concepimento e della gestazione», «presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato».
Proprio dopo aver enunciato questi criteri, la Consulta lancia un esplicito affondo contro la maternità surrogata: la surrogazione di maternità «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». La sentenza riconosce che «nel silenzio della legge» (diversamente da quanto accade con l’eterologa) non è possibile disciplinare univocamente la filiazione che da essa discende, ricordando poi come il nostro ordinamento le attribuisca un «elevato grado di disvalore».
Secondo i giudici costituzionali, dunque, per attribuire la filiazione di un bimbo nato da un utero in affitto bisogna innanzitutto considerare la grande contrarietà della pratica al nostro corpus giuridico. Se fosse per ciò solo, dunque, il piccolo non potrebbe esser ritenuto figlio di chi l’ha fatto “assembleare” e “gestare” a pagamento. Bisogna tuttavia verificare se questa soluzione sia o meno superabile alla luce dell’interesse del minore, e l’operazione concreta consiste nell’applicazione dei tre criteri sopra enunciati.
Criteri che, nel caso della surrogazione di maternità, sembrerebbero chiedere un’attenta valutazione solo riguardo alla durata del rapporto dei “committenti” con il minore. Quanto infatti alle modalità del concepimento e della gravidanza, la circostanza per cui i “committenti” abbiano scelto la gestante e colei che offre a pagamento i suoi gameti da un catalogo (così avviene nella pressoché totalità dei casi) difficilmente potrebbe essere considerato sintomo di un interesse del bimbo a venire considerato loro figlio.
Quanto invece alla possibilità di instaurare comunque un legame giuridico, il “committente” non genitore avrebbe la possibilità di valutare l’adozione «in casi particolari», quella cioè non legittimante. Così il bimbo rimarrebbe tutelato. Ma, contemporaneamente, colui che ha violato la legge non si vedrebbe riconosciuta quella genitorialità piena cui avrebbe aspirato. Un «bilanciamento» tra verità della filiazione e interesse del minore, d’ora innanzi offerto dalla Corte a tutte le magistrature d’Italia.
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