(repubblica.it) – 26.01.2018 – A George Soros, finanziere e imprenditore ungherese naturalizzato statunitense, non va bene niente. Al World Economic Forum di Davos, quest’anno, ne ha avute per tutti, dai bitcoin ai social network. La criptovaluta, per esempio, che a uno speculatore come lui dovrebbe piacere, è battezzata come “una bolla basata su una incomprensione”. E soprattutto, non chiamatela valuta. È roba da riciclaggio e da dittature, ha spiegato.
Fra un giudizio su Putin, che “dirige uno Stato mafioso”, e uno su Donald Trump, “un pericolo per il mondo”, Soros se l’è presa in particolare con le piattaforme sociali come Facebook e giganti digitali come Google. Dicendosi felice che almeno l’Europa tenga duro e imponga tasse e regole: “I gruppi dei social media sfruttano il contesto sociale, tolgono autonomia di pensiero e inducono dipendenza”, oltre a scaricare le responsabilità su ciò che viene pubblicato sulle piattaforme che controllano. In realtà ha avuto un piede in quel mondo anche il suo ricchissimo fondo, fino allo scorso autunno: il Soros Fund Manager, ha deluso dai conti di Snapchat in cui aveva una partecipazione, ha ceduto tutta la sua parte. In fondo i social vanno bene, se rendono.
In particolare, l’88enne finanziere ha spiegato in un albergo della località del Canton Grigioni che Big G e la creatura di Mark Zuckerberg “influenzano il modo in cui le persone pensano e si comportano, senza che le persone se ne accorgano”. Va da sé che questo sia ritenuto deleterio per la democrazia e le elezioni. Sul punto, a dirla tutta, è intervenuta anche Facebook tramite Samidh Chakrabarti, responsabile per il “civic engagement”, che ha ammesso in un video sul canale aziendale gli aspetti scivolosi e ambivalenti della piattaforma.
Tornando a Soros, ha aggiunto che “la loro straordinaria redditività è in gran parte funzione del fatto che evitano responsabilità per i contenuti – che non pagano – delle loro piattaforme. E si è spinto anche nel dettaglio: i social media “ingannano i loro utenti manipolando la loro attenzione e dirigendola verso i propri obiettivi commerciali, provocando deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono, il che è molto pericoloso soprattutto per gli adolescenti”. Ma non è solo questo: “Nella nostra era digitale le social media company stanno inducendo le persone ad abbandonare la loro autonomia. E le persone senza libertà di pensiono possono essere manipolate con facilità. È un pericolo attuale e ha già svolto un ruolo importante nelle elezioni presidenziali americane”.
Un altro pericolo è che la saldatura fra queste piattaforme e i regimi scarsamente democratici possa farsi più forte: “I Paesi dove questi matrimoni per nulla sacri potrebbero verificarsi sono la Russia e la Cina, perché le società tecnologiche stanno assumendo rilevanza come negli Stati Uniti” ha detto. Per concludere che “Davos è un buon posto per annunciare che i loro giorni sono contati: sono in arrivo tasse e regole e la commissaria Ue alla Concorrenza Vestager sarà la loro nemesi”.
Ultimamente lo squalo ungherese travestito da filantropo ce l’ha proprio con tutti. Dopo aver dichiarato guerra al nazionalismo definito come ideologia dominante del mondo, ora se la prende contro le compagnie dei social network accusandole di manipolare l’informazione a discapito dell’autonomia di pensiero. Detto da lui, speculatore senza scrupoli e finanziatore di ogni causa spregevole in nome del denaro e dell’influenza globale, non ci resta che diffidare, ben sapendo che dietro le sue dichiarazioni qualcosa di viscido bolle in pentola.
Qualcosa di subdolo sicuramente finalizzato ad assoggettare i popoli, a manovrare dietro le quinte gli scenari economici, politici e sociali mondiali, come pedine di un complesso dominio di cui non si riesce a vedere chiaramente il disegno complessivo.
(repubblica.it) – 26.01.2018 – A George Soros, finanziere e imprenditore ungherese naturalizzato statunitense, non va bene niente. Al World Economic Forum di Davos, quest’anno, ne ha avute per tutti, dai bitcoin ai social network. La criptovaluta, per esempio, che a uno speculatore come lui dovrebbe piacere, è battezzata come “una bolla basata su una incomprensione”. E soprattutto, non chiamatela valuta. È roba da riciclaggio e da dittature, ha spiegato.
Fra un giudizio su Putin, che “dirige uno Stato mafioso”, e uno su Donald Trump, “un pericolo per il mondo”, Soros se l’è presa in particolare con le piattaforme sociali come Facebook e giganti digitali come Google. Dicendosi felice che almeno l’Europa tenga duro e imponga tasse e regole: “I gruppi dei social media sfruttano il contesto sociale, tolgono autonomia di pensiero e inducono dipendenza”, oltre a scaricare le responsabilità su ciò che viene pubblicato sulle piattaforme che controllano. In realtà ha avuto un piede in quel mondo anche il suo ricchissimo fondo, fino allo scorso autunno: il Soros Fund Manager, ha deluso dai conti di Snapchat in cui aveva una partecipazione, ha ceduto tutta la sua parte. In fondo i social vanno bene, se rendono.
In particolare, l’88enne finanziere ha spiegato in un albergo della località del Canton Grigioni che Big G e la creatura di Mark Zuckerberg “influenzano il modo in cui le persone pensano e si comportano, senza che le persone se ne accorgano”. Va da sé che questo sia ritenuto deleterio per la democrazia e le elezioni. Sul punto, a dirla tutta, è intervenuta anche Facebook tramite Samidh Chakrabarti, responsabile per il “civic engagement”, che ha ammesso in un video sul canale aziendale gli aspetti scivolosi e ambivalenti della piattaforma.
Tornando a Soros, ha aggiunto che “la loro straordinaria redditività è in gran parte funzione del fatto che evitano responsabilità per i contenuti – che non pagano – delle loro piattaforme. E si è spinto anche nel dettaglio: i social media “ingannano i loro utenti manipolando la loro attenzione e dirigendola verso i propri obiettivi commerciali, provocando deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono, il che è molto pericoloso soprattutto per gli adolescenti”. Ma non è solo questo: “Nella nostra era digitale le social media company stanno inducendo le persone ad abbandonare la loro autonomia. E le persone senza libertà di pensiono possono essere manipolate con facilità. È un pericolo attuale e ha già svolto un ruolo importante nelle elezioni presidenziali americane”.
Un altro pericolo è che la saldatura fra queste piattaforme e i regimi scarsamente democratici possa farsi più forte: “I Paesi dove questi matrimoni per nulla sacri potrebbero verificarsi sono la Russia e la Cina, perché le società tecnologiche stanno assumendo rilevanza come negli Stati Uniti” ha detto. Per concludere che “Davos è un buon posto per annunciare che i loro giorni sono contati: sono in arrivo tasse e regole e la commissaria Ue alla Concorrenza Vestager sarà la loro nemesi”.