La Nazione nella sua accezione originaria è un insieme di persone che hanno un legame caratterizzato da un’eredità e un’identità comune. Una comunità di popolo, di destino, di sangue e di spirito. Sembra se lo siano scordati in Catalogna, dove da entrambe le sponde – indipendentista e non – qualsiasi tipo di considerazione è assoggettata ai principi d’ordine economico, alla legge di mercato, per cui ogni cosa (anche la propria terra) è equiparata ad un valore dove tutto si vende e tutto si compra.
a cura della Comunità Militante Furor
La recente e irrisolta questione della paventata secessione catalana ci offre la possibilità di osservare quali siano i meccanismi di dialettica moderna attorno al concetto di stato e di nazione.
Da diversi anni oramai, la Catalogna, una delle diciassette comunità autonome che compongono la Spagna, è attraversata da rivendicazioni secessioniste che hanno prodotto un referendum–farsa nel mese di Ottobre 2017, la conseguente applicazione dell’art. 155 della costituzione spagnola, che ha sospeso i poteri del governo e del parlamento di Barcellona, e indetto nuove elezioni che hanno visto, anche se per un soffio, nuovamente vincitori i partiti indipendentisti.
A oggi la situazione appare fumosa e confusa. Roba da democrazia insomma.
La nostra riflessione, però, vuole concentrarsi sulla costruzione del pensiero, d’indipendentisti e unionisti, che hanno deciso di disputare la partita democratica su un unico campo di battaglia: quello dell’economia. Entrambe le fazioni, negli ultimi mesi, hanno sventolato solo ed esclusivamente la bandiera dell’economia e della finanza per estorcere una preferenza a proprio favore dai cittadini catalani. Da un lato gli indipendentisti fanno leva sulla grande ricchezza economica della regione, la prima tra le comunità autonome per PIL, e sulla necessità di tenere a Barcellona le tasse pagate dai catalani. Dall’altra parte ci sono gli unionisti, che rimarcano unicamente la necessità economica per la Catalogna di rimanere spagnola ed europea per non mettere a rischio il sistema finanziario ed economico della regione. In questi ultimi mesi il dibattito si è concentrato solo su quest’aspetto con un continuo bombardamento mediatico. Economisti e analisti finanziari hanno spiegato rischi e opportunità di un’ipotetica secessione, ogni ora le più importanti testate giornalistiche spagnole aggiornano il contatore delle multinazionali che hanno trasferito le proprie sedi dalla Catalogna in altri luoghi della penisola iberica.
Senza volere entrare nel merito della contesa, la cosa che più stupisce è che abbiamo concesso alla finanza e all’economia anche la nostra idea di nazione. Uno stato antico e glorioso come la Spagna ha affidato la sua unità nazionale a studi economici e proiezioni di crescita, con un orecchio teso ai mercati e l’altro ai richiami dei burocrati europei. Non trovano spazio i valori e la profonda idea di attaccamento al suolo che proprio gli spagnoli hanno fortemente manifestato in epoche non troppo lontane.
Declinare il concetto di nazione solo sul piano economico-finanziario è diabolico e rientra certamente negli schemi sovversivi capitalistici, la creazione dell’Unione Europea, d’altronde, ne è un chiaro esempio. Il solo pronunciare parole come “sangue e suolo” fanno arricciare il naso all’esercito del politicamente corretto come una bandiera spagnola appesa a una finestra basti per essere tacciato di becero nazionalismo.
Noi non troviamo parole migliori di quelle espresse da Léon Degrelle in Militia, per esprimere il nostro concetto di nazione, secondo la quale “siamo uomini in quanto apparteniamo a un popolo, a un suolo, a un passato. […] Il passato di un paese rinasce in ogni generazione, come la primavera ritorna, sempre, nelle nuove germinazioni.”