(a cura della Comunità Militante Furor)
Quanto è lontano il concetto di calcio che ci si costruisce da bambini da quello moderno. Il calcio cominciava e finiva in un super santos, una porta fatta con due pietre e la prima volta allo stadio sulle spalle di tuo padre. La curva che cantava, i calciatori in campo e i tuoi occhi da bambino che non smettevano di sognare.
Oggi il calcio è altro. È un autentico mercato di capitali, dominato da interessi televisivi e animato da prezzolati in risvoltino, leali solo alle proprie tasche e al colore dei soldi. In campo a comandare (e ad annoiare) ci pensa la tecnologia della VAR, mentre sulle tribune si è sempre di meno. Tutto a vantaggio del circo mediatico e degli interessi di pochi magnati. Non esistono valori, è finito il romanticismo, o quasi.
Esistono però persone e organizzazioni che non hanno gettato la spugna davanti alle insistenti avances del Dio denaro e, siano dirigenti di squadra o semplici tifosi, hanno scelto con fermezza quali valori debbano incarnare la propria squadra e i propri colori. Lontani dalle larghe e comode vie che portano al denaro e alla fama, continuano ad amare i propri colori e, proprio per questo si preoccupano, di fare scelte che, se guardate con gli occhi dell’uomo moderno, possono sembrare folli, fuori da ogni concetto di economicità, quasi da kamikaze.
È il caso, per esempio, della squadra tedesca dell’Augsburg, che ha deciso di mettere fuori rosa il promettente difensore Daniel Opare che, a detta dei dirigenti tedeschi, “ci ha ripetutamente mentito”. Opare, come dicevamo, è considerato un difensore promettente che, negli anni passati, era stato nel mirino di squadre come Barcellona e Real Madrid, ma i suoi comportamenti hanno spinto il club tedesco a privarsi delle sue prestazioni pur di salvaguardare i valori della società e quelli dello spogliatoio. Insolita, ma impeccabile decisone in un mondo in cui mancare alla parola data ormai è normalità. La società ha privilegiato i valori dell’onestà, lealtà e verità al volgare valore economico del giocatore.
Altra mosca bianca del calcio mondiale è certamente l’Athletic Club di Bilbao. La politica sul tesseramento dei calciatori prevede, infatti, che possano far parte della squadra solo calciatori baschi o che siano cresciuti nelle giovanili della società. E pensare che l’Athletic sia tra i Club spagnoli più vincenti di sempre insieme a Real e Barcellona. Un vero e proprio incubo per quelle organizzazioni di procuratori che si occupano di portare in Europa decine di ragazzi da tutto il mondo per costruirci sopra plusvalenze milionarie.
Alcuni tifosi del Salisburgo, invece, hanno deciso nel 2005 di abbandonare le comode tribune del proprio stadio per fondare un’altra squadra che milita, tutt’oggi, in campionati minori. Tutto nasce dall’acquisto da parte della Red Bull (nota azienda di bevande energetiche) della società alla quale sono stati cambiati nome e colori sociali. Alla vista della nuova “Red Bull Salisburgo” e dei nuovi colori non hanno retto preferendo una dimensione più locale e di minore “crescita” per la loro fede.
Queste tre storie hanno in comune qualcosa. In tutte e tre i casi è forte il senso di rinuncia. Rinuncia al denaro, al guadagno, alle facili vittorie. Si sceglie la via stretta e tortuosa della privazione di fronte alla sfacciataggine dell’economia e del mondo moderno. Si rinuncia per affermare, si rinuncia per rimanere in piedi. Anche dal futile mondo del calcio ci giungono esempi di chi non si è piegato alle vie del denaro rimanendo fedele alla propria squadra di calcio e, ancor prima, fedele a se stesso.