
L’estate, in inghilterra, è finita da un pezzo. Ma anche in autunno, il clima attorno al partito laburista britannico continua ad essere bollente. Il partito di Jeremy Corbyn, che lo ha rilanciato portandolo ormai a primo partito per consensi, dando un’immagine di sinistra giovane, ma non “petalosa”, ed anzi vicina al popolo (motivo per cui è l’unico caso di sinistra in ascesa e non in declino in Europa) è infatti sotto attacco per il presunto “antisemitismo” del suo leader.
Quale la colpa? Lo stare con la Palestina: Corbyn, infatti, prese parte nel 2012 ad una cerimonia, a Tunisi, sulla tomba di uno dei palestinesi di Monaco, Atef Bseiso, e due anni fa rifiutò, con coraggio, di recarsi in Israele a deporre una corona di fiori al memoriale della Shoah.
E nonostante da Gerusalemme, e non solo volino, le prime minacce (“con Corbyn al governo, il 40% degli ebrei inglesi pronti ad emigrare in Israele”, tuona il viceministro Micheal Oren), al convegno del Partito Laburista di una settimana fa, sventolavano migliaia di bandiere palestinesi, mentre, sul palco, i deputati paragonavano la lotta al fianco del popolo palestinese alle battaglie contro i fascisti di Mosley nella Londra degli anni ’30 (fa abbastanza ridere, ma tant’è).
Europa all’incontrario, dunque: la causa del popolo palestinese è portata avanti dalla sinistra antifascista, mentre i “sovranisti” si perdono dietro le fascinazioni filo-americane e israeliane di Steve Bannon…
Ma, ovviamente, non fatevi illusioni sul vecchio Corbyn: chissà quale sarà il prezzo da pagare, una volta al governo, per questo suo “antisemitismo”…