“Indi venimmo al fine ove si parte
lo secondo giron dal terzo, e dove
si vede di giustizia orribil arte.”
Inferno, Canto XIV, 3-6
I NEGATORI DI DIO
(tratto da Guido De Giorgio, Studi su Dante, Cinabro Edizioni)
Dietro l’architettura morale dell’inferno, vi è una invisibile rete mistica che i profani non scorgono, abituati a non oltrepassare l’orizzonte etico. in realtà non è il peccato che conta, ma la negazione di Dio, o per lo meno il peccato conta perché spesso conduce alla negazione di Dio. Un maestro moderno afferma che sono degni veramente di inferno coloro che, se Dio volesse liberarli, si ostinerebbero a rimanervi… e non sono pochi… son legione.
L’accecamento egoistico, l’ignoranza madre della superbia, rende pervicaci anche nel negare la luce, Dio, e nel negarlo quando c’è, quando si percepiscono i frutti della sua negazione, quando si è schiacciati dalla sua giustizia, dalla sua potenza, quando il signore si serve di una delle sue mani, quella di giustizia, non più di quella di misericordia.
L’inferno è quindi la patria dei negatori di Dio, dei lucifughi, di coloro che, caduti, frantumati, scorgono in Dio il nemico, e lo respingono, essi stessi nei ceppi, essi stessi in catene…
L’Inferno è il luogo di precipitazione di ‘sedimento’ di ciò che non sale più, non vola più, di ciò che è morto. La concrezione si fa più terribile a misura che si scende, che si penetra nelle viscere della terra, che si sprofonda nell’elemento più spesso, quello che si ammassa sui cadaveri, quasi per significare che l’elemento somatico può fecondare solo la materia, il regno della morte, e per mostrare che l’uomo si nutre di morte…
Il peccato vero dunque è nella negazione di Dio, nel negare il fuoco dell’amore (Spirito) dopo aver negato la potenza (Padre) e la Sapienza (Figlio); ecco perché il vertice del cono infero è Cocito, il lume rappreso, il lume di gelo, il silenzio terribile della morte.