9 Febbraio 1983
Dieci anni fa, in occasione dell’anniversario della strage di Acca Larenzia, lessi sul blog di Azione Tradizionale la lettera inviata da un camerata, pubblicata l’8 gennaio, in cui si sottolineava la necessità di andare oltre le celebrazioni più o meno ufficiali e più o meno sentite di certi tragici eventi, cercando di onorare la memoria dei tanti caduti innocenti attraverso le piccole azioni quotidiane, apparentemente invisibili o di poco rilievo, ma invece cariche di sostanza e di significato.
In occasione dell’anniversario della morte di Paolo Di Nella, ho deciso di mandarvi anch’io una mia piccola testimonianza personale. Con grande cortesia la redazione di AT di tanto in tanto pubblica qualche mio articolo sugli argomenti più disparati; stavolta si tratta, come detto, di qualcosa di più personale, ma non c’è spazio per rievocazioni retoriche o ridondanti, frasi ad effetto o chissà cos’altro. In linea con la sobrietà espressa proprio nella lettera suddetta, si tratta invece di condividere con i lettori di questo blog, “voce ufficiale” del Fronte della Tradizione, alcune significative parole che un ragazzo poco più che ventenne, timido e un pò solitario, lesse ben ventidue anni fa, in una fredda serata di febbraio, su un manifesto in Via Cavour, qui a Roma.
Quel ragazzo è colui che vi scrive, un pò meno giovane di allora, ma sempre animato da quello stesso spirito, da quell’intensa idealità che contraddistingue fin da tenera età certe persone, quasi come un retaggio arcaico, una forza misteriosa che ci spinge a ricercare qualcosa oltre il muro del sensibile, che ci permette di percepire qualcosa che nessun altro, nel mondo d’oggi, può più sentire.
Anch’io, ben presto, all’inizio quasi in modo inconsapevole, poi con gli anni in modo sempre più cosciente, compresi di far parte di questa particolare categoria di persone, destinata a cercare un filo di luce nelle tenebre della modernità, a nascondersi dagli occhi e dalle parole di chi giudica senza sapere, o che ignora senza capire. E da solo, con fatica, ho cercato di far maturare questa visione, di darle forza e di farla dispiegare in tutta la sua profondità, attraverso ricerche ed approfondimenti personali, che ancora proseguono, condotti senza che nessuno, genitore, parente o amico, mi potesse aiutare, guidare, capire.
All’epoca, nella seconda metà degli anni ’90, mi capitava spesso di rimanere colpito dai manifesti commemorativi che di tanto in tanto ricordavano i tanti ragazzi missini tragicamente uccisi negli anni ’70, anni così misteriosamente intrisi di idealità fortissima, di errori, di sangue, di disperazione. Forse l’ultimo periodo in cui, anche se in forme spesso deviate, un ultimo barlume di coscienza spirituale cercava di resistere e di manifestarsi, attraverso le vite e le testimonianze di uomini, donne, ragazzi e ragazze, che non sarebbero però riusciti a cambiare il corso tempestoso ed implacabile della storia: il Concilio Vaticano II, il ’68 ateo, libertario e marcusiano, che avrebbe lasciato il suo triste segno negli anni a venire, il modernismo, il consumismo ed il capitalismo livellatore e globalizzatore, la dissoluzione di quegli ultimi residui di Tradizione, ormai peraltro ridotti a mere convenzioni borghesi e perbeniste, sterili ed improduttive, facili armi nelle mani dei neo-illuministi di destra e di sinistra. Anni che non ho vissuto di persona, se non da piccolissimo, ma che successivamente ho sentito fortemente addosso, quasi fossero cuciti in qualche angolo remoto della mia anima.
In una serata di febbraio del 1997, mi imbattei in uno di quei manifesti commemorativi, in Via Cavour, all’altezza dell’incrocio con Via degli Annibaldi. Non ricordo quale disegno o fotografia lo completasse, ma ricordo quelle parole così commoventi e drammaticamente toccanti, quasi un testamento spirituale: si celebrava l’anniversario della morte di Paolo Di Nella, ultimo caduto di quel tragico periodo, nell’appendice dei primi anni ’80, ma quelle parole erano idealmente l’ultima testimonianza di tutti quei ragazzi così crudelmente uccisi in nome dell’incoscienza, dell’ignoranza, di una cieca crudeltà: solo alcuni dei terribili frutti del nichilismo dell’epoca moderna.
Le annotai su un foglietto di fortuna, come spesso facevo, e a casa le utilizzai per preparare una piccola cornice insieme ad altri motti e frasi che avevo raccolto. Non sapevo allora, e non so tuttora, se si trattasse di versi estratti da un’opera ben precisa ed adattati al caso specifico, o se fosse il risultato dell’ispirazione di qualche camerata. Voi che avete una conoscenza più ampia della mia in materia, saprete senz’altro riconoscerne l’eventuale fonte originale; perdonate comunque la mia ignoranza.
Forse mi sono dilungato oltre il dovuto, parlando anche di me stesso, ma sentivo di dover scrivere quanto sopra, con sincerità ed un pizzico di malinconia, perché credo sia anche questo un modo per ricordare quei caduti innocenti, attraverso una testimonianza personale, reale, intensa.
E’ ora giunto il momento di riportare alla luce quelle parole, così semplici, ma così incisive, la cui lettura ancora oggi mi commuove profondamente:
“Io combatto anche per te, uomo qualunque, ma tu non mi ascolti.
Io muoio anche per te, uomo qualunque, e tu mi disprezzi.
Perché? Non importa.
I miei occhi malinconici,
la mia splendente giovinezza,
il mio caldo sangue color rubino:
io te li dono, uomo qualunque.
Io non ho le tue ricchezze,
non voglio per me il tepore accogliente della tua casa.
Tutto ti lascio, anche la mia vita”.
Onore a Paolo Di Nella e a tutti i caduti in nome dell’Idea.
Per l’Eternità.
Paolo G.