“Cercate programmi? Essi si trovano sulle labbra di tutti. Sarebbe meglio cercare uomini, poiché in una notte chiunque può preparare un programma, ma non di programmi si sente bisogno nel paese bensì di uomini e di volontà”.
“Non contano le persone ma i programmi”.

Al di là di ogni valutazione geopolitica, politologica o sociologica sulla crisi del governo gialloverde, sull’aborto del sovranismo all’italiana, sull’instabilità politica della “Repubblica dei cialtroni” – come amava appellarla De Giorgio – che in 18 legislature ha, dalla sua nascita, partorito quasi 60 governi, governi trasformisti e banderuole solo agli occhi di chi ce li ha ancora foderati di prosciutti, ma che, in realtà, sventolano sempre nella stessa direzione, al di là di ogni riflessione sociopolitica da politici social sulle spinte d’oltreoceano in un senso o nell’altro, degli endorsement degli orsi rossobruni o delle brunette Ursule di turno, che – a volte è utile ricordarlo – non hanno “alleati” con cui stringere patti eterni nella portaerei Italia ma “teste di ponte” su cui appoggiarsi di volta in volta a seconda di chi presti loro maggiori garanzie sul momento, dicevamo, al di là di tutte le riflessioni partorite “a caldo” all’esito di questa crisi d’agosto – i costanti trenta gradi e più raggiunti in questa infuocata estate italiana non hanno aiutato a restare lucidi (e il fuoco dell’Amazzonia non ha di certo giovato…) – ci sentiamo solo di sviluppare, col fresco di settembre, qualche riflessione a partire da questa lapidaria (nel suo senso etimologico di “lapide” di una tomba) affermazione del Conte dimezzato.


Abbiamo più volte pensato che le istanze politiche di fondo del MoVimento 5 Stelle – ci vergogniamo per loro per aver scelto un nome così brutto che sembra quasi il nome di un “gratta e vinci” – fossero ancor più sovversive e dissolutive, sul piano delle istituzioni politiche, rispetto al sistema del partitismo parlamentare. Spinte sovversive sull’onda dell’anti-politica e dell’indignazione!1!1!
Eh sì perché i manifesti sulla democrazia diretta da sviluppare e potenziare attraverso la cittadinanza digitale e le intelligenze digitali anti-rappresentanza, fondate sulle sovversive teorie del cittadino di Ginevra Jean-Jacques Rousseau, potevano sembrare un’ulteriore sprofondamento dissolutorio, un superamento del concetto borghese e sovversivo di democrazia rappresentativa non verso l’alto – con un ritorno alla gerarchia, al capo, alla comunità, alla persona – ma verso il basso – con una spinta progressiva verso la democrazia diretta, il garante, la rete, l’utente.
Se le teorie sull’“uno vale uno” sovvertono completamente il principio gerarchico ed aristocratico delle differenze qualitative, la lotta contro il divieto di mandato imperativo – principio della democrazia rappresentativa per cui il popolo, dopo aver dato mandato, non può più toglierlo né indirizzare o vincolare i rappresentanti a scelte e decisioni particolari fino allo scadere del mandato stesso – è una battaglia verso il basso e l’ulteriore dissoluzione, perché con essa si afferma che il popolo così come dà così può togliere, che il popolo – da cui tradizionalmente il potere non può derivare perché, come ci ha insegnato Guénon, il più non può venire dal meno – non solo si pretende che dia ma anche che tolga. E poi la sovversione totale dello stile e delle virtù: il diritto di parola contro il dovere del silenzio, la critica distruttrice senza il confronto costruttivo, la superbia ignorante contro qualsiasi forma di sapere, il giudizio che si accontenta dell’accusa, il diritto di parlare con tutti e su tutto senza il dovere dell’ascolto e dell’obbedienza, la crassa sfacciataggine di chi non dà valore al sacrificio degli studi, perché tutto si può apprendere tramite Wikipedia, o valore al sacrificio del lavoro, perché i frutti si devono ottenere per “cittadinanza”. E infine: “No Tap”, “No Tav”, “No Vax”, “No Vat”, “No Tax”: tutte le bandiere dei “no” che hanno trovato sponde solide e primi sostenitori proprio tra la rete dei pentastellati.
A tutto ciò si sommino i simboli tellurici a più riprese utilizzati dai moVimentisti o l’ateismo di fondo manifestato nella derisione e parodia della comunione eucaristica da parte di Beppe Grillo.
Insomma per questi e tanti altri motivi, i “gratta e vinci” della politica ci erano sembrati gli alfieri di una nuova tappa dissolutoria.
E invece?

Se prima tutti erano mafiosi ora si può trattare con tutti, basta che si condividano le “battaglie del Movimento” (l’unico escluso sembra a questo punto essere il Cavaliere… un’altra medaglia sul suo petto?). Se un tempo i nuovi portavoce, sciatti e malvestiti, non potevano dialogare con nessuno né partecipare ai talk show – per espresso diktat del garante parlante – ora, giacca e cravatta addosso e permanente in testa, siedono ai tavoli del palazzo senza più le dirette streaming. Dovevano vendicare (“V per Vendetta!”) e smascherare le trattative Stato-mafia e invece si sono mascherati da mafiosi di Stato con accordi su programmi raggiunti nel buio di una notte.

Al nemico di sempre del “sistema dei programmi”, di cui ormai sfacciatamente anche i moVimentisti fanno parte, il “fronte degli Uomini” non smetterà mai di opporsi.
“Ci sono movimenti che non hanno un programma (…). Vi sono altri movimenti che hanno un programma. Ve ne sono altri che hanno più di un programma: hanno una dottrina, hanno una religione”.
Elio Della Torre