È mercoledì e, come per tutti gli altri giorni di questa settimana di Campo, la sveglia suona puntuale poco prima dell’alba. Si cerca di seguire i ritmi della natura e si vogliono sfruttare le ore più fresche della giornata. Gli sguardi che si incrociano però non sono gli stessi degli altri giorni: oggi sulla faccia di alcuni si legge entusiasmo, su quella di altri si intravede un po’ di preoccupazione e dal volto di tutti è possibile percepire ciò a cui la mente sta pensando. Questo pomeriggio, infatti, dopo aver preso la propria razione misurata di cibo e acqua, dopo aver ascoltato e portato al cuore le intenzioni che ogni anno ci spingono ad affrontare questa “impresa”, dopo aver preparato scrupolosamente gli zaini e dopo aver fatto il giusto riposo ristoratore, si partirà per l’escursione fino al cratere dell’Etna a quota 3250 m.s.l.m.
Alle ore 16.15 tutto il gruppo di escursionisti si ritrova davanti al Casale con gli zaini carichi di tutto il necessario per affrontare le 24 ore successive. L’escursione copre una lunga distanza in poche ore ma ha la caratteristica di affrontare ambienti molto differenti: dal caldo incessante delle quote più basse, passando al fresco umido della notte all’addiaccio, per arrivare infine al freddo e al vento dell’ultima parte, quella del cratere. Ciò richiede molta attenzione nella preparazione dei materiali e dell’abbigliamento da portare.
Alle 16.30 il gruppo parte in direzione Nord consapevole che il dislivello da guadagnare nelle prossime tre ore di cammino non sarà moltissimo, ma che la distanza da percorrere invece è piuttosto importante. Novecento metri di salita per uno sviluppo totale di oltre 12 chilometri.
Il gruppo cerca il più possibile di restare compatto ma il passo tenuto da chi sta in testa non è nelle corde di tutti e, senza le pause, ogni ora la distanza tra chi guida il gruppo e chi chiude la fila rischierebbe di diventare consistente e dispersiva. Anche per ragioni di sicurezza si preferisce mantenere un gruppo piuttosto unito.
Dopo la seconda pausa, quella più lunga e da molti usata anche per rifocillarsi, viene chiesto a tutto il gruppo di mettersi in fila e di rimanere in silenzio fino all’arrivo al Rifugio. Mancano poco più di 40 minuti. L’obiettivo non è quello di voler riprodurre schemi militari o intraprendere una processione: viene infatti spiegato come questo tipo di compostezza e di attività sia simbolicamente carica di significato. Seguire chi ci sta davanti, avendo fiducia del cammino intrapreso, ed evitare l’inutile chiacchiericcio, imparando a parlare quando necessario, sono due insegnamenti molto importanti che quest’esperienza, come tante altre svolte durante il nostro anno militante, sono in grado di trasmettere e di far sperimentare.
Attorno alle 19.45 tutto il gruppo giunge al Rifugio, vengono disposti i materassini e i sacchi a pelo sul terreno sabbioso creato dalle antiche colate laviche, si mangia solo quanto necessario per riprendere le forze e si brinda con un bicchiere di vino, a ciò che è stato e alla giornata che arriverà molto rapidamente tra poche ore.
Calato completamente il sole, molti già dormono sotto a un cielo illuminato da infinite stelle: la notte è particolarmente serena e si spera sia di buon auspicio.
L’indomani, alle 3.15, la sveglia è chiamata a voce da chi guida il gruppo. Alle ore 3.30 tutto il materiale è stato già sistemato e disposto negli zaini e tutti gli escursionisti sono pronti a marciare. Il passo è subito svelto e deciso a superare l’insidiosa parte iniziale di salita caratterizzata da rovi e arbusti che rendono difficoltosa la marcia. Non c’è sosta per le prime due ore di cammino, il risveglio muscolare alle pendici dell’Etna è una cosa seria! La prima pausa è pensata per ricompattare completamente il gruppo e per fare un primo spuntino, la colazione vera e propria si farà a quota 3000 m., tra almeno un’altra ora di cammino.
Tutta la fase di ascesa del secondo giorno è caratterizzata da un forte vento che priva il corpo di calore e solleva da terra grosse quantità di polvere. Fermarsi a riprendere fiato e ad aspettare il gruppo non è sempre così piacevole come lo era il giorno precedente, ogni pausa richiede di aggiungere vestiti per coprirsi dal freddo e di cambiare i capi bagnati dal sudore.
Nella seconda parte di salita, superate le difficoltà della vegetazione, il terreno diventa più asciutto, meno florido e più impervio. Non servono più le pile frontali a illuminare il percorso, il sole ha già rischiarito il cielo, ma l’attenzione a ogni movimento è fondamentale per evitare scivoloni sulla sabbia o passi falsi sulle fragili rocce laviche. Non ci sono difficoltà alpinistiche in questa ascensione, ma la montagna è sempre un ambiente severo, che richiede la giusta dose di cautela e concentrazione.
L’arrivo in cima da parte di tutto il gruppo, a più di 6 ore dalla partenza dal Rifugio, è una grandissima soddisfazione per tutti: sia per chi è la prima volta che vede il cratere sia per coloro i quali questo è un appuntamento che si ripete ormai da diversi anni. Qualche minuto per godersi il momento, fare qualche foto di gruppo e guardare il panorama che subito è ora di scendere. Dal cratere esce costantemente un’enorme quantità di fumo solforoso che se inalato a lungo può creare problemi. Almeno in questo il forte vento è d’aiuto: spinge tutto il fumo nella direzione opposta al gruppo.
Ricercare la più comoda strada del rientro è facile all’inizio perché lungo i sabbioni è possibile perdere dislivello velocemente ma diventa più complicato nella parte finale dove i rovi e le spine costituiscono il problema principale. Il Rifugio è visibile da molto lontano, il tetto giallo svolge la funzione di stella Polare, la direzione è segnata!
Giunti al rifugio si pranza con le ultime scorte rimaste della propria razione e ci si ristora un po’. Avere una quantità limitata di acqua richiede una gestione intelligente delle proprie risorse: abituati a un mondo caratterizzato dall’eccessiva abbondanza e dal consumismo che non dà importanza a nulla (beni materiali e immateriali senza eccezioni), trovarsi a bere solo il necessario per non giungere in condizione di disidratazione ti riporta a contatto con la Realtà e sicuramente ti fa riflettere su ciò che dovrebbe essere davvero importante e primario nella vita.
Il tragitto dal Rifugio al Casale lo si percorre nelle ore più calde della giornata, fortunatamente però quasi tutta la strada è all’ombra di piante e arbusti. Inoltre l’umore di tutti gli escursionisti è alto e queste tre ore di rientro sono un’ottima occasione per scambiarsi impressioni sulla giornata appena trascorsa e sul campo che si sta svolgendo, ma anche per parlare di ciò che si ha in programma per il prossimo anno militante.
Quasi, e ripeto quasi, senza accorgersene tutto il gruppo giunge a pochi passi dal cancello del Casale, la gita sul cratere dell’Etna si sta per concludere, come ogni anno è un’ottima prova per misurare se stessi, valutare i propri limiti, la propria capacita di superarli e il coraggio di riconoscere le proprie mancanze, evitando comportamenti titanici.
La salita sul vulcano siciliano insegna anche a prendersi cura di colui che è in difficolta, magari perché in quell’anno delle situazioni a lui indipendenti gli hanno impedito di allenarsi adeguatamente o perché semplicemente non tutti i giorni il nostro corpo e la nostra mente rispondono allo stesso modo agli stimoli esterni. È sempre una bella esperienza quella dell’ascesi in montagna, è un’azione che non deve essere volta solamente alla pratica di un esercizio fisico e sportivo, al compimento di record o al raggiungimento di una cima, ma che è carica di simboli e significati più importanti e che tutti quanti, se orientati da una visione Verticale della vita, possiamo cogliere e godere.