Dobbiamo necessariamente premettere che il tema della malattia e della morte dell’uomo è assai delicato, da trattarsi con rispetto e distacco, tenendo sempre bene a mente che si tratta di una sofferenza sconosciuta per molti, che richiede toni ponderati, sebbene fermi. Occorre trattare l’argomento con distacco e senza coinvolgimenti nei casi concreti, per evitare il rischio di inquinare l’orientamento con i moti sentimentali che naturalmente scaturiscono da certe notizie molto forti.
Detto ciò, in questi anni abbiamo imparato a conoscere i meccanismi, ormai non più tanto occulti, di coloro che passo dopo passo stanno portando la società e l’uomo verso la negazione stessa della loro natura più profonda.
L’articolo che portiamo alla vostra attenzione riporta la testimonianza di un cittadino piemontese affetto da una patologia neurodegenerativa, il quale ha deciso di farla finita attraverso il suicidio assistito.
Non è un caso che, come al solito, i media riportino una lettera di questo tipo, con l’intento sentimentale di commuovere, di impietosire, di muovere i più bassi sentimentalismi per aprire sempre di più, col tacito consenso, la porta alle armi della sovversione: anziché ragioni dottrinarie, scientifiche ed esistenziali, vengono anteposti dettagli che toccano le corde del sentimento così da inquinare un giudizio distaccato e sereno sul cd. fine-vita.
Attraverso strategie di manipolazione che vanno a toccare i punti più sensibili della nostra psiche ci stanno facendo accettare, di volta in volta, aberrazioni contro la vita umana (dall’aborto a 9 mesi fino alla libera eutanasia per depressione) che fino a poco tempo prima erano impensabili (ricordate la finestra di Overton?). Prima hanno fatto accettare alla gente il suicidio assistito, ora lo stanno facendo con l’eutanasia.
Secondo la visione tradizionale, le prove della vita – come malattie o altre sofferenze – sono vicende che l’uomo è chiamato ad affrontare, come – lo diciamo col tutto il rispetto possibile – opportunità di ascesi, battaglie da combattere per vincere la propria natura “umana, troppo umana“. La Tradizione esige un uomo che sappia guardare in faccia la sofferenza e la morte, che affronti le responsabilità che gli vengono affidate dalla Provvidenza. A volte queste prove sono durissime. E ancor più grande è l’onore di chi le conduce con Stile. Così come è grande la comprensione verso chi soffre e vorrebbe farla finita. Ma proprio su questo aspetto gioca la Sovversione, architettando la campagna di morte per l’eutanasia, professando il culto del “farla finita“, della “resa dell’anima” in questo mondo de-sacralizzato.
Non dobbiamo, perciò, cascare in queste trappole: l’uomo deve essere testimone di una vita accolta come un dono, una vita che non ci appartiene e che, nelle gioie e nelle sofferenze, dobbiamo essere degni di riconsegnare quando arriverà il momento di farlo.
(tratto da www.today.it) – Fine vita, la lettera di Remo Cerato prima del suicidio assistito: “Politica senza coraggio”. La straziante lettera del 58enne di Germagnano (Torino) ex dipendente della Cartiera, morto due giorni fa per una grave patologia neurodegenerativa
Non può che commuovere, ed essere uno sprone affinchè la politica si attivi per davvero, la lettera di Remo Cerato, 58enne di Germagnano (Torino), ex dipendente della Cartiera ed ex consigliere comunale. E’ morto due giorni fa per una grave patologia neurodegenerativa che se lo è portato via in pochi mesi. L’annosa assenza di una legge sul fine vita è intollerabile. E Remo Cerato con toni pacati ma decisi, racconta come abbia scelto di concludere la propria esistenza con il cosiddetto suicidio assistito: interrompendo l’alimentazione e aumentando le dosi di morfina. Avrebbe preferito farlo con l’eutanasia legale,per soffrire di meno, per una maggiore dignità. Il suo è un atto d’accusa alla politica. E un appello per una legge sul fine vita degna di un paese civile.
Lascia la moglie Carlotta, tre figli, tanti amici e colleghi della Cartiera che tanto aveva difeso in vita. L’ultimo saluto a Cerato si terrà domani, giovedì 12, alle 15,30 nella parrocchia di San Grato, in piazza della Chiesa nella sua Germagnano.
La lettera di Remo Cerato
“Ciao! Il mio percorso in questa vita si sta per concludere e voglio salutarvi tutti personalmente – scrive Cerato in un post pubblico su Facebook -. Stanotte, con una crisi respiratoria, sono diventato ufficialmente un grosso problema per i miei ragazzi, problema che non posso più tamponare con adeguamenti al ribasso. Grazie per avere condiviso qualche piccola o meno piccola cosa con me. Lascio il mio profilo ai miei figli, a mia moglie e l’utilizzo a scopo ludico al mio amico Gian. Non siate sorpresi dell’epilogo che ho scelto, perché è in linea con quello che sono sempre stato. Non posso permettere a questa terribile malattia di fare ancora di più. Ha già distrutto il mio fisico del quale ero orgoglioso, ha cancellato il mio lavoro, ha fiaccato la mia psiche con mesi di terrore conoscendone bene l’evoluzione, mi ha già allontanato dai miei affetti ed in futuro mi costringerebbe a diventare un peso dannoso per i delicati equilibri familiari. Ho ancora un ruolo ed una responsabilità: tutelare i miei figli a qualunque costo… e per farlo non devo danneggiare troppo il luogo sicuro della loro infanzia con una presenza sempre più destabilizzante. Loro sono il mio orgoglio, la mia proiezione nel futuro e sono stati la mia vita finchè è stata tale. Quindi… lo devo fare… è molto semplice! In verità, la mia decisione iniziale è sempre stata un’altra, ma continuando a rimandare una scelta che mi è oggettivamente difficile, sono giunto all’impossibilità di auto infliggermi proprio un bel nulla… Subentra il piano B”.
“La politica è in colpevole ritardo”
“Lancio, in qualità di parte in causa, un’accusa/appello affinchè la politica, già in colpevole ritardo per una legge sul fine vita che, se fosse stata in vigore, mi avrebbe regalato qualche sofferenza in meno, trovi il coraggio di affrontare e sanare una mancanza grave – scrive Cerato – . Morire in ospedale… vuol dire farlo in diversi giorni, morendo di sete e di morfina. E’quello che chiamano suicidio assistito… cosa molto diversa dall’eutanasia legale. E’ il lavarsene le mani per mancanza di coraggio e lungimiranza politica, è fortemente deludente. Porterò con me i miei momenti più importanti e gli affetti più profondi. Spero di tornare in una qualche forma per stare vicino a coloro che ho amato e che devo lasciare con un dolore straziante. Me ne andrò incompiuto ed arrabbiato, assolutamente non in pace perchè subisco la mia morte come un’intollerabile ingiustizia. Lascio figli da crescere, lascio progetti incompiuti… nessuna compensazione di nessun’altra vita, compresa quella eventuale “eterna”, potrà mai risarcirmi di quanto sono obbligato a lasciare in questa”.