
Nel passaggio del nostro esistere su questa terra, le soluzioni che ci vengono offerte da questo mondo non ci soddisfano pienamente, non ci convincono; non hanno un senso, una direzione. Da qui avvertiamo un disagio. Un profondo senso di necessità, di un respiro più ampio, da un lato per un autentico processo di liberazione dalle pastoie della modernità e dall’altro di realizzazione, di restaurazione di se, di un compimento del proprio destino.
Abbiamo evidente davanti a noi che i cosiddetti politici hanno perso definitivamente il quadro di riferimento di dove si combatte la battaglia autentica, la sfida più grande: in noi stessi.
Si è diversi quindi, diversi perché gli altri uomini non intravedono più meraviglie, perché hanno perso la meraviglia. Si è diversi perché anche se guardiamo le stesse cose, vediamo cose diverse, sono gli occhi che non sono più gli stessi.
Abbiamo anche la sensazione di essere in prigione?
Questa è una riflessione per comprendere cosa può aiutare ad evadere, chi può darci una mano (gli evasi, chi prima di noi ha intrapreso il nostro cammino), come evadere (il percorso, il metodo, l’orientamento, gli strumenti)
La nostra idea di lavoro si fonda sulla Tradizione, cioè il primo fattore di educazione, di ricchezza e di conoscenza, perché essa è Eredità cioè un insieme di valori, comportamenti, Stile e Carattere che danno senso e significato alla nostra vita. Lealtà, Fedeltà, Rigore, Sobrietà, Puntualità, Educazione, Disciplina, Responsabilità, Senso per la Gerarchia. Per l’uomo che abbiamo in vista questi valori non assumono un profilo politico ma pre-politico, sono autentici punti cardinali.
Stanno prima di tutto perché abbiamo colto che se così non fosse, di fronte ad ogni evento si starebbe al punto di partenza, sarebbe un esistenza nella pura reattività, guardiamo: vivere con il criterio del mi piace/non mi piace, il continuo sostegno all’idea folle e priva di senso di non trasmettere a chi ci succede ciò che è stata l’esperienza di chi ci ha preceduto (per una precisa scelta di una oscura intelligenza).
Il volto marcio del potere vuole che tra le generazioni ci sia un intercapedine, in modo da non farle avere un passato. Gli uomini tentano di fuggire dal buio interno e dall’oblio esterno tentando di costruire sistemi perfetti in cui nessuno debba avere bisogno di migliorarsi. Eccolo quindi il compimento del regno, il miraggio di una struttura che abolisce la responsabilità della persona. Tutto collabora affinché la valanga di fuoco quotidiana, dalla culla alla tomba – dalla scuola al lavoro, dalla tv ai giornali a tutti i media, l’intrattenimento – alimenti queste concezioni infette, malsane, diaboliche. Il risultato finale dovrebbe essere quello che stiamo ravvisando sotto i nostri occhi, un frullato di bastardi, senza Dio, una Patria, una Storia, una Legge che – sia chiaro – non può rappresentare il nostro destino.
Noi non abbiamo paura delle rovine, il nostro presente ha un senso perché ha una eredità: la Tradizione.
Il Militante
E’ quindi nel quadro di una più vasta estensione del dominio della lotta, che il giovane militante deve porre la realizzazione di Sé, costruendo incessantemente per la propria Comunità, rimanendo bene attento a ricevere le indicazioni dal proprio responsabile, che servono esclusivamente al miglioramento di se, ad un continuo edificare, ad una restaurazione continua, cosciente di poter essere attaccati da fuori, così come minato da dentro. E’ in questo modo che ci si educa al dominio della Libertà, che si realizza in modo congiunto, a Responsabilità ed Autorità. Perché allenandoci nella Comunità, è nella realtà esterna che ci si misura concretamente, con l’impatto e con la provocazione.
La pro-vocazione che ci obbliga a dare risposte: responsabilità, appunto.
E’ pertanto in questa visione che a chi ci precede, “coloro che hanno iniziato ad evadere”, siamo profondamente riconoscenti, ci hanno donato e continuano a farlo, elementi fondamentali, un patrimonio e una ricchezza inesauribili per affrontare il percorso.
Questa eredità è composta da tre elementi: materia, anima, spirito.
Ci hanno offerto gli strumenti per conquistare il nostro destino e ce li hanno offerti in modo cordiale, con il cuore, in una forma che nei più ne ha sicuramente stabilizzato e rettificato l’esistenza.
Ma occorre essere sinceri, tutti questi sforzi, questa offerta arriva ad un punto preciso, alla soglia del cuore del giovane militante, di colui che non si è arreso alle lusinghe del mondo moderno c e che ha deciso di accogliere questo dono, questa opportunità. E’ così che il militante deve conoscere profondamente la storia della propria casa, la profondità delle fondamenta, la nobiltà delle proprie radici. Questa si intravede nella sensibilità alla propria storia, ai predecessori, alla propria civiltà. Per questo non rincorriamo la maggioranza ma ricerchiamo l’èlite, per questo non facciamo politica (per come è intesa oggi), ma cerchiamo di costruire in noi una dignità, una nobiltà. Sappiamo che una volta deciso di combattere lo si deve fare ogni giorno, ogni ora, perché la certezza del militante che vuole Essere, vincerà sul mondo di ciò che appare. E’ per tale ragione che esiste la Comunità Militante, il luogo fisico e metafisico dove si conduce la battaglia, dove ci si addestra, dove vi è necessità di donarsi, dove sorge l’eroismo quotidiano.
La Comunità
E’ il luogo, la scuola dove si ha la possibilità innanzitutto di apprendere le cose e di imparare a fare le cose, nella Comunità si costruisce esternamente e contemporaneamente si lavora su di se, si fa parte di essa solo quando veramente c’è un impegno. Non si è nella Comunità quando si ascolta e si imparano cose, ma solo quando ci si impegna: quante persone credono di essere in Comunità e invece ci stanno solamente? Quante persone sanno che dal loro impegno dipende la vita delle strutture operanti sparse sul territorio? Senza questa coscienza non si è in Comunità.
Occorre essere coscienti che una Comunità è reale solo quando vi è un impegno a qualificare e restaurare se stessi, determinando di riflesso il miglioramento e la qualificazione della Comunità. E’ quindi qui che si gioca la differenza fra un’organizzazione ed una Comunità Militante orientata verticalmente da una visione spirituale. La differenza è quella che in una Comunità Militante si riconosce al sacrificio cosciente e responsabile, allo sforzo continuo, il valore di poter conseguire il raggiungimento del motivo per cui si è iniziato a combattere: la realizzazione di se.
E’ qui che l’incondizionato inizia a determinare il condizionato, cioè il punto in cui la dimensione spirituale condiziona i piani subordinati: quello fisico e quello psicologico.
L’obiettivo
Questo passaggio, questo attraversamento, è quello che individuiamo come obiettivo. Una sorta di morte e resurrezione per l’affermazione dell’uomo nuovo, dell’uomo dritto tra le rovine.
Sappiamo che è uno scopo molto ambizioso, sappiamo che non tutti noi potremo raggiungerlo, ma sappiamo che questo è il nostro luogo di combattimento, “…questo è il nostro essere e non possiamo fare altrimenti…”. Siamo coscienti che mille piccoli problemi tendono a distrarci da questo grande scopo che ci siamo prefissati, che senza elevati modelli di riferimento non si può generare l’energia sufficiente per il combattimento; che la realtà esterna più si accorge del lavoro che svolgiamo, più ci sarà ostile e più occorrerà rinsaldare le fila. Ma siamo altrettanto coscienti che questo è il nostro sentiero fondato su un destino, su una aspirazione, sulla terra ferma della Tradizione. Non ci siamo fermati a fare calcoli, vogliamo essere gli strumenti coscienti della volontà divina.