Il testo che vi invitiamo a leggere a questo link (e di cui riportiamo solo l’incipit) è l’editoriale del nuovissimo numero di Eurasia interamente dedicato all’Iran, disponibile a partire dai prossimi giorni. Lo sguardo del Direttore Claudio Mutti volge alla Persia, evidenziandone la funzione geopolitica (con accenni anche a una “geografia sacra“) dall’Impero di Ciro all’Iran della Rivoluzione.
Ne esce una prospettiva che, depurata dai miti liberal-democratici dello “scontro di civiltà” e della contrapposizione tra “occidente libero e oriente tirannico“, restituisce al lettore l’idea, propria – per lungo tempo – ai greci, di una affinità e di radici comuni con i Persiani, e sottolinea come l’entità statuale achemenide fosse molto più vicina all’archetipo tradizionale dell’Impero che non a quello moderno della tirannia o del bonapartismo.
(tratto da https://www.eurasia-rivista.com/oltre-le-termopili/) – OLTRE LE TERMOPILI, di Claudio Mutti
L’altra faccia della Persia antica
“Maratona”, “Salamina”, “lo scontro dell’Europa con l’Asia”, “la lotta della democrazia contro il dispotismo orientale” et similia sono pressoché le sole nozioni relative all’antica Persia che immediatamente si presentano alla mente di quello che Costanzo Preve chiamava “il ceto medio semicolto”; la cultura del quale deve essersi ulteriormente arricchita dopo che l’industria di Hollywood ha sfornato un prodotto cinematografico che pretende di ricostruire, ad uso e consumo dell’immaginario occidentale, l’epico scontro avvenuto alle Termopili nel 480 a.C.
Il prodotto hollywoodiano non era un’oscenità puramente commerciale: in un discorso pronunciato l’11 febbraio 2007 per celebrare l’anniversario della Rivoluzione Islamica, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad affermò che la pellicola statunitense, presentando i Persiani come dei selvaggi, costituiva un atto di guerra psicologica contro l’Iran.
Non dovrebbe essere il caso di dire che è astronomica ed abissale la differenza di livello che intercorre fra la grottesca pellicola americana e le immagini delle guerre persiane consegnateci dalla poesia patriottica della nostra tradizione letteraria. Si pensi soltanto, per esempio, alla rievocazione foscoliana della voce del nume che “nutria contro a’ Persi in Maratona, / ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi, / la virtù greca e l’ira” ed alla successiva scena notturna delle “larve guerriere” che non cessano di combattere sul campo di Maratona[1]; oppure alla celebrazione leopardiana della battaglia delle Termopili[2], “dove la Persia e il fato assai men forte / fu di poch’alme franche e generose!”[3].
Non sono mancati tuttavia intellettuali che hanno osservato quei lontani eventi da una prospettiva un po’ diversa. Konstantin Leont’ev, ad esempio, ricorda di aver letto in una pagina di Herzen l’episodio di “alcuni nobili persiani che, durante una tempesta, si gettarono volontariamente in mare per alleggerire la nave e salvare così Serse, avvicinandosi al re ed inchinandoglisi uno dopo l’altro prima di saltare al di là della murata”[4]. Herzen, commenta Leont’ev, “ha perfettamente ragione nel definire questo atto le Termopili persiane. Si tratta di un gesto più terribile e gigantesco di quello delle Termopili, un gesto nel quale si rivela la forza di una idea e di una convinzione persino più grandi di quelle dei compagni di Leonida; è più facile, infatti, offrire la propria testa nell’ardore di una battaglia che decidersi freddamente e coscientemente, senza alcuna costrizione, al suicidio nel nome di un’idea religiosa e politica”[5].
Nella generalità dei casi abbiamo tuttavia a che fare con una rappresentazione dei Persiani che ne fa esclusivamente gli avversari militari e politici dei Greci. Si tratta, come ha scritto un autorevole iranista, di “una visione soggettiva già nella selezione delle testimonianze greche sul mondo persiano, che significativamente presentano una grande varietà, di un punto di vista che rinuncia quasi completamente a indagare le fonti indigene contemporanee, sottovalutando la molteplicità dei modelli di contatto tra Greci e Persiani, e riducendo questo mondo a noi estraneo alla sua dimensione politico-militare (…)”[6].
Eppure, nonostante tutto ciò, non si può dire che presso i Greci la visione della realtà persiana fosse totalmente dominata dall’antagonismo politico e culturale. Perfino le guerre persiane “venivano viste secondo angolazioni diversificate”[7].
Nel 472 a.C., otto anni dopo la battaglia navale di Salamina, un ex combattente di Maratona (e forse anche di Salamina, di Platea e dell’Artemisio), Eschilo di Eleusi, trionfava con una tragedia, i Persiani, che portava in scena la disfatta di Serse “assumendo una posizione simpatetica”[8]. A Susa, davanti al palazzo dei re di Persia, la regina Atossa racconta un sogno inquietante agli anziani della corte, ancora ignari dell’esito della spedizione di Serse in Grecia. La regina ha sognato che suo figlio Serse stava aggiogando ad un carro due donne in contesa tra loro, una delle quali era avvolta in panni persiani, mentre l’altra indossava l’abito dorico[9]. Nella donna abbigliata in pepli dorici, che contende con l’altra e rifiuta l’imposizione del giogo facendo cadere a terra il Gran Re, è possibile riconoscere Atene[10], anche se potrebbe benissimo indicare profeticamente “i Dori peloponnesiaci, che un anno dopo Salamina sconfiggeranno l’esercito terrestre dei Persiani”[11]. In ogni caso, la visione notturna della regina allude al vano tentativo di Serse di pacificare un conflitto insorto fra due “sorelle di sangue, di una medesima stirpe” (kasignéta ghénous tautoû), entrambe stanziate sulla “terra dei padri” (pátra): l’una in Grecia e l’altra in “terra barbara” (gaîa bárbaros). [PROSEGUI LA LETTURA]