Le salme di Franco e Primo De Rivera strappate dalla Basilica – di Leo Sevis

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I TOMBAROLI DELLA MEMORIA

L’atmosfera, giunti alla basilica de la Santa Cruz del Valle de los Caidos, è semplicemente sacrale: la maestosità dell’edificio in stile herrerista, lo stile austero e “prussiano” del Rinascimento spagnolo, rigorosamente e per definizione senza decorazioni, marchiato a fuoco solo dalle rigorose geometrie ortogonali, sempre contraddistinte da equilibri perfettamente rispondenti tra loro, senza alcuna fuga di capriccioso intellettualismo; gli occhi abbacinati dal bianco levigato della pietra, che riflette il sole arido e inclemente del cielo di San Lorenzo de l’Escorial; il silenzio, custodito gelosamente dai monaci dell’abbazia benedettina, che vegliano sulle anime di 33.872 combattenti della guerra civile di Spagna, sia monarchici che repubblicani; la santa croce del Valle, che, coi suoi imponenti 150 metri di altezza, è il segno di Cristo più alto del mondo: infisso sul monte del Valle, domina la vallata per chilometri e chilometri di cielo e di terra e, quando la si scorge da lontano, sul bus che, una sola volta al giorno, alle 16, porta i turisti al monumento, una fatale necessità di silenzio e raccoglimento pervade l’animo del fedele, senza chiederne ragione.

E’ in questa condizione interiore che si giunge agli enormi portali di bronzo della basilica del Valle de los Caidos, la Valle dei Caduti, un grandioso monumento cristiano voluto dal Caudillo Francisco Franco, per porvi a riposare, in attesa degli ultimi giorni, il corpo di Jose Antonio Primo de Rivera (il fondatore della Falange spagnola, fucilato dai repubblicani) e quello di decine di migliaia di altri soldati, che, da una parte come dall’altra, combatterono o credettero di combattere per il bene di una Spagna “una, grande, libre. Il Generalissimo non volle fosse fatta alcuna distinzione: amici e nemici, monarchici e repubblicani, cristiani e atei, tutti posti a riposare insieme, in un luogo dedicato non ai repubblicani, non ai monarchici, non ai franchisti o ai falangisti, ma alla Spagna e agli sforzi e alle energie profuse dai suoi figli per operarne la faticosa e sofferta rinascita. E l’anima e il cuore di questa scelta si percepiscono immediatamente, quando si vagliano i confini del maestoso portale, sormontato da una gigantesca beata Vergine, che tiene fra le sue braccia il morente Figlio dell’Uomo: la Pietà accompagna il fedele in questo luogo di memoria. All’interno praticamente nessun orpello, nessuna decorazione: solo un lungo e altissimo corridoio in penombra, illuminato da torce dalla luce gialla che pendono alle pareti, scavato nella dura pietra del monte, che si percorre a lungo in ammirato e religioso silenzio, fino a giungere al circolare altare centrale, sulla sua cupola è presente l’unico affresco della basilica, raffigurante i figli della Spagna che giungono a Dio attraverso la lotta e il supremo sacrificio. Sull’altare, in posizioni differenti ma speculari, a livello della pavimentazione (tanto da poter sfuggire all’occhio dell’osservatore superficiale) due lapidi in posizione d’onore, levigate, fatte dello stesso marmo. Nessuna raffigurazione, nessun abbellimento esteriore. Niente gradi, niente titoli onorifici, niente stemmi. Solo due scritte in maiuscolo: “Francisco Franco“; “Jose Antonio Primo de Rivera. Nulla più. Gloria e memoria non hanno bisogno di esser sottolineate, come da un trucco pesante.

Prima dell’Alzamiento, la rivolta degli ufficiali guidati da Franco contro la II Repubblica spagnola, le condizioni in terra ispanica erano giunte a un punto critico: di fronte agli occhi degli spagnoli non vi era più il tentativo di fondare, per il meglio o per il peggio, una diversa forma di governo per un popolo da sempre fedele al re; al contrario, vi era “una Spagna in cui il clima anticristiano si era fatto rovente e Franco non esitò a parlare di ‘crociata’ contro ‘l’ateismo e il materialismo’“. Una Spagna, dove il fervore e la mania anticristiane e antimonarchiche avevano portato a trasformare Madrid in un campo di internamento a cielo aperto, costellato di prigioni politiche, in cui bastava una parola fuori posto per essere rinchiusi e processati – se tutto andava per il meglio – sommariamente. La capitale dell’impero era diventata un grande gulag esteso per decine di chilometri, dove la violenza prevaricatrice dei repubblicani (oggi opportunamente taciuta dall’establishment democratico, in una neppur tanto vaga reminiscenza di analoghe situazioni nostrane) era ormai un fatto quotidiano, in una folle rincorsa al passato spagnolo monarchico e cristiano da cancellare con ogni mezzo. Si può parlar bene o male di Franco, della Falange, dei Carlisti, ma, di fatto, l’Alzamiento e la vittoria franchista posero fine a uno stato di disordine e di violenza politica endemici, riportando la Spagna alla normalità e, soprattutto, ponendo l’alt sulla strada dell’anticristo, che, sulla via di cancellare ogni memoria del Cristo dal suolo spagnolo, si sarebbe poi aperto la strada verso il resto d’Europa.

Ma, al di là della violenza, delle sofferenze e dello strazio civile, Franco, anni dopo, decise di ricordare tutti i figli di Spagna, facendo costruire il monumento del Valle e dedicandolo a tutti i “caidos, a tutti i caduti, che, da una parte e dall’altra, insieme riposano oggi sotto le ali di Dio.

Eppure, tutto ciò risulta insopportabile ai gendarmi della democrazia, che, dopo aver speso decenni ad infangare e cancellare la memoria di un uomo, cui di fatto non hanno mai avuto nemmeno la velleità di ribellarsi, in una situazione di invidiabile stabilità sociale ed economica, oggi sono giunti al traguardo finale: dopo anni di battaglie legali e burocratiche, finalmente il governo ha vinto, ha ottenuto la sua solenne vittoria sui paladini di Cristo e della Corona. Infatti, tra il 21 e il 22 Ottobre, i resti del Caudillo, che scelse di esser sepolto, insieme a Primo de Rivera, nella navata centrale della basilica del Valle de los Caidos, verrà riesumato ed esiliato dal luogo del suo eterno riposo. Così la libertà e la sovranità popolare trionfano sul tiranno, sull’oscuro medioevo, un po’ come si faceva con gli avversari politici all’epoca dei Comuni, no? Strappati alle loro tombe e gettati nel fiume, o dati in pasto alle fiamme. Che sarà mai? Un po’ di sano medioevo per combattere il medioevo. E’ la ricetta di Locke. E la sorte di Franco toccherà verosimilmente anche a Primo de Rivera, che, forse, in quanto fucilato, verrà comunque lasciato nella basilica, ma spostato nelle ali della chiesa dove sono conservati tutti gli altri 30.000 e più corpi di caduti spagnoli, senza alcuna precisa indicazione nominativa, a scoraggiare inopportuni pellegrinaggi.

E tutto questo, è bene ricordarlo, avviene nel totale silenzio delle autorità vaticane, anzi con l’espressa dichiarazione dei rappresentanti dell’attuale pontefice di non opporsi all’applicazione delle sentenze spagnole in merito. E’ d’uopo infatti considerare che la basilica del Valle, in quanto parte integrante di un monastero benedettino, rientra nella giurisdizione vaticana e risponde direttamente solo al papa. Sembra assurdo: il corpo di un fedele cristiano, di fatto mai condannato dalla Chiesa, che ha combattuto contro coloro che della cristianità facevano il demonio, che anzi in nome di un moderno demonio mirarono ad estirpare dal suolo di Spagna il nome di Cristo, verrà strappato a forza dal suo luogo di riposo, con il tacito assenso del vicario di Cristo. Qualora dovessimo sentire il bisogno di ulteriori segni dei tempi…

Chi scrive non sa che giorno è oggi, nel momento in cui questo breve intervento viene pubblicato per l’informazione dei lettori. Ma chi scrive sa di cosa parla, perché a Valle de los Caidos c’è stato e ha pregato tra le anime di 33.872 (anzi 33.874) soldati caduti per la Spagna, insieme a tanti altri fedeli. E sa che, oggi, tutti noi, cristiani e uomini della Tradizione, dovremmo vergognarci, al posto di quei pastori, che hanno prestato il braccio a democratici profanatori di tombe…

Leo Sevis