Misteri irrisolti: Shakespeare era messinese?

2001

(tratto da facebook) – Misteri irrisolti: Shakespeare era messinese?

William Shakespeare è conosciuto globalmente come il più grande autore inglese di tutti i tempi. Ma chi era veramente? L’uomo di Stratford, il più importante drammaturgo di sempre, venerato dagli inglesi, autore di trentasette opere teatrali, oltre centocinquanta sonetti, ma semi-analfabeta, di cui restano soltanto un testamento (che non fa riferimento alle opere) e alcuni contratti per prestare soldi a usura.

La mancanza di legami fra le storie narrate ed i suoi luoghi natali aveva fatto sospettare che in realtà le origini di Shakespeare non fossero quelle che vengono studiate sui libri di letteratura.

Il 23 aprile 1564 (stessa data di nascita del drammaturgo), a Messina veniva alla luce Michelagnolo (o Michelangelo) Florio Scrollalanza. Il vero nome di William Shakespeare sarebbe proprio Michelangelo Florio, figlio di Giovanni Florio e Guglielma Scrollalanza, scappati in Inghilterra per sfuggire alla Santa Inquisizione perché assertori del calvinismo.

Il nome stesso, William Shakespeare, altro non sarebbe che la traduzione letterale del nome della madre: William (Guglielmo) Shake (Scrolla)-speare (lancia).

Il piccolo Michelangelo, cioè il futuro William, si rivelò subito un bambino prodigio, dotato di grande genialità e appassionato della lettura. A sedici anni conseguì il diploma del Gimnasium in latino, greco e storia. Giovanissimo, scrisse una commedia in dialetto dal titolo “Tantu trafficu ppi nenti”(vi ricorda qualcosa?). A causa delle credenze religiose del padre, Michelangelo, non più al sicuro, venne prima mandato in Valtellina e poi a Milano, Padova, Verona, Faenza e Venezia.

In Valtellina, prese dimora in una casa chiamata Cadotel, perché appartenuta, secondo la voce popolare, a un certo Otello, militare al servizio della Repubblica di Venezia, il quale aveva ucciso per gelosia la moglie, di nome Desiderata.

In Amleto compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guilderstern, che erano compagni di studi di Florio all’università di Padova.

Michelangelo in seguito si innamorò di Giulia, figlia di un altezzoso conte fanatico cattolico, il quale per ostacolare l’amore tra la figlia e il calvinista decise di inscenare un finto rapimento e di affidare la figlia al governatore di Verona. La fanciulla decise però di preservare la sua purezza gettandosi da una torre del castello. Sconvolto per la morte dell’amata, Michelangelo si trasferì a Venezia ma, dopo che il padre fu trucidato, decise di mettersi in salvo. Grazie all’amicizia con Giordano Bruno, che aveva buoni rapporti con i conti di Pembroke e Southampton, si trasferì a Londra. È qui che Michelangelo Florio cambia identità e diventa il famoso William Shakespeare.

Anche per i biografi dell’epoca, Shakespeare aveva un accento straniero. Inoltre, quindici delle trentasette opere teatrali sono ambientate in Italia. Nel saggio Shakespeare era italiano, il prof. Iuvara – docente di letteratura italiana all’Università di Palermo – cerca di dare risposte a molte domande: come faceva il figlio di un guantaio-macellaio analfabeta a possedere l’immensa cultura classica che Shakespeare dimostra? Come faceva a descrivere fedelmente luoghi lontani, paesaggi, persone o dialetti che mai aveva conosciuto, soprattutto in quel tempo? Verona, Venezia, Messina… È molto strano pensare che in un’epoca lontana dagli smartphone, da internet, si potessero conoscere approfonditamente terre lontane e i loro usi e costumi.

Il professor Edward Peters (Panta Rei, IV), studiando Il Mercante di Venezia mostra come l’autore dell’opera avesse un’approfondita conoscenza del Diritto Veneziano, ben diverso dal Diritto inglese del tempo; conoscenza che poteva avere solo chi avesse seguito corsi regolari di studio in una università veneta, Padova, per l’appunto. Il professor Bellomo, in un articolo comparso sul quotidiano La Sicilia, ha poi ricordato un elemento testuale importante: nell’Amleto, un personaggio parla degli archivi di Vienna, dove è conservata una storia scritta in «bell’italiano», segno evidente che l’autore doveva avere un’eccellente conoscenza della lingua italiana per dare un tale giudizio.

Questi sono solamente alcuni dei numerosi dettagli che hanno spinto anche il quotidiano The Times a commentare così la tesi: «Il mistero di come e perché Shakespeare sapeva così tanto dell’Italia ed ha messo tanta Italia nelle sue opere, è stato risolto da un accademico siciliano in pensione. La questione risiede nel fatto che Shakespeare non era affatto inglese, ma italiano».