Giovannino, l’ittiosi e la fecondazione eterologa

1113

(a cura della Comunità Militante Raido)

Torino, due genitori, desiderosi di mettere al mondo un figlio, a tal punto da ricorrere alla fecondazione eterologa, alla sua nascita lo abbandonano, perché affetto da una patologia gravissima, impegnativa e quanto mai rara: l’ittiosi arlecchino.

Questa storia è terribile per un motivo: ritrae perfettamente la modernità, in tutto il suo egoismo, in tutta la sua assenza di Dio.

Innanzitutto, infatti, bisognerebbe riflettere su come sia sempre opportuno ascoltare i “suggerimenti” del nostro corpo. L’impossibilità a portare avanti una gravidanza, con il massimo rispetto del dolore che comporta, dovrebbe suggerire la maggiore opportunità, a esempio, di ricorrere all’adozione, dando speranze ad una creatura che non ne ha, piuttosto che forzare la natura, sulla base di un proprio capriccio, con la fecondazione eterologa. È evidente la mentalità per cui, oggi, un figlio sia tale solo se PROPRIO, senza considerarlo per ciò che realmente è: un essere affidatoci per prendercene cura, per amarlo al sommo grado, proprio perché, in fondo, non ci appartiene davvero.

Oggi la maternità è sempre più vissuta alla stregua di un rapporto commerciale: voglio qualcosa, lo acquisto, diventa mio, e se è difettoso lo restituisco – ergo abortisco (e, da qui, la concezione mercantilistica alla base di pratiche come aborto ed eutanasia, ma è una questione diversa).

Procreare, oggi, è sempre più un vezzo messo in background, da soddisfare dopo aver sistemato innumerevoli cose “più importanti”: il lavoro, la posizione sociale, un buono stipendio.

È una cosa come tante altre, da mettere in agenda, senza considerarne la sacralità: riflette tempi e ritmi cosmici, ma soprattutto testimonia quella dynamis creativa che, veramente, riflette la Realtà divina di cui l’uomo è espressione.

Infine, ci si dimentica come veramente ciò che spesso ci viene messo sulla nostra strada sia un’occasione di sacrificio, per andare oltre noi stessi, in una parola, un’occasione per Amare, con la A maiuscola. Per quanto ciò possa essere scomodo, difficile e, a volte, anche sgradevole 

Ma nella vulgata attuale, il prossimo è il disimpegnativo “migrante” che viene da chissà dove, non un impegnativo figlio, che, di fronte a noi, ha bisogno qui ed ora.

Allora, tornando alla notizia, probabilmente, gli pseudo-genitori non hanno capito che non erano loro ad avere bisogno di Giovannino, bensì è quella creatura ad avere bisogno di un genitore coraggioso. Giovannino nella vita dei genitori sarebbe stato, forse, la più grande occasione di superamento per loro.

Per dirla con De Giorgio: “Vince Dio chi perde l’io.