GEO – Colca (Perù) – Estate 2019 – recensione

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Perù, Estate 2019
La sveglia suona molto presto: l’appuntamento con il pullman è alle 3 del mattino. Sono circa 3 le ore di tragitto che separano Arequipa, la bellissima città bianca, da Cabanaconde, un piccolo paesino a 3300 metri che affaccia su una delle profondissime gole del canyon del Colca che segnerà il punto di partenza effettivo del trek.
Partiamo con uno zaino abbastanza leggero, con dentro tutto il necessario per un trekking di 2 giorni in Perù, dove abbiamo già imparato a conoscere i grandi sbalzi termici che ci aspetteranno tra la notte ed il giorno.
Il viaggio di avvicinamento scorre veloce, il sonno lascia il posto alla meraviglia: dopo circa due ore di tragitto l’altimetro dell’orologio segna i 4900 mslm, siamo sul passo della Patapampa; l’altitudine torna a scendere ma i paesaggi rimangono ugualmente spettacolari.
Poco prima della partenza del camino ci aspetta un’ultima tappa; siamo al mirador Cruz del condor e lo spettacolare volo di questi maestosi rapaci andini ci lascia davvero senza parole; con assoluta padronanza i condor volteggiano sopra le nostre teste, senza l’ausilio di alcun battito d’ali, sfruttando le forti correnti ascensionali, effettuano quella che sembra una vera e propria danza nel vento al ritmo di una musica a noi sconosciuta.
Proseguiamo il viaggio e arriviamo finalmente a Cabanaconde. Da qui inizia la… discesa! Sì, quest’escursione sarà un po’ diversa dal solito.
Iniziamo quindi la ripida discesa, in lontananza vediamo il Rio Colca e il piccolo villaggio di Tapay con i suoi insediamenti circostanti, uno di questi meta intermedia della giornata odierna. Scendendo a zig zag dentro il Canyon, il sentiero ci regala delle vedute spettacolari e non fermarsi ad ammirarle è impossibile. La discesa dura circa tre ore e mezza scendendo di circa 1000m, fino ad attraversare uno stretto ponticello che ci porta dall’altro lato del Canyon dove il paesaggio cambia radicalmente: grazie al piccolo fiume qui la vegetazione è varia e dove prima c’erano solo piante grasse e aloe adesso abbiamo una discreta varietà di alberi che la nostra guida ci descrive con buona competenza. Dopo circa un’ora di camminata raggiungiamo un piccolo villaggio a poca distanza da Tapay dove pranziamo con una zuppa e un piatto di riso e carne di alpaca. Dopo qualche minuto di riposo riprendiamo la marcia e la camminata ora è fatta di sali e scendi. In lontananza si intravede una macchia verde: è l’oasi di Sangalle dove passeremo la notte. Il miraggio dell’Oasi da forza alle gambe e un po’ di frutta esotica presa da una folcloristica vecchietta quecha rinfresca la gola. Proseguiamo il cammino per altre tre ore e mezza, finalmente verso le 18 arriviamo a Sangalle il punto più basso del canyon a circa 2000 mslm.
Ci rilassiamo un po’ prima della cena, nella struttura abbiamo a disposizione persino una piscina all’aperto e anche se la temperatura sta calando velocemente non riusciamo a resistere!
Mentre fa buio volgiamo lo sguardo alla salita che ci aspetta l’indomani mattina. Dopo la cena veloce con gli altri escursionisti decidiamo di andare a riposare subito, l’indomani la partenza è alle 4. Prima di entrare nel nostro piccolo bungalow ci concediamo un momento tanto semplice quanto prezioso volgendo lo sguardo alle stelle: non ci sono parole per descrivere la bellezza di un cielo stellato senza paragoni. Andiamo a dormire con il sorriso e un profondo senso di pienezza.
La sveglia suona un paio d’ore prima dell’alba. L’esperienza di GEO, tra le altre cose, ci ha insegnato che l’approccio alla montagna inizia prima dell’escursione: la preparazione dello zaino fatta con attenzione. Difatti, le nostre frontali nel buio plumbeo si dimostreranno ancora più preziose poiché siamo i soli ad averne in tutto il gruppo.
Inizia la risalita, ci aspettano circa 1300 metri di dislivello. La scelta di ripartire con il buio si dimostra saggia, evitiamo buona parte della faticosa salita sotto il sole. L’ascesa è veloce per via del sentiero molto ripido: sembra un’immensa scala che sale fino alla bocca del Canyon. Il buio e la fatica rendono il gruppo silenzioso. Dopo circa due ore comincia a rischiarare, il sole sta sorgendo. Velocemente e con poco preavviso si passa dal buio alla luce, in Perù il giorno non lascia spazio all’aurora. Si apre così la vista sull’orizzonte: intorno a noi la vastità del canyon, la sue severe vette, la sua vegetazione scarna. È uno spettacolo affascinante e a volte anche una scusa per riposare le gambe che si fanno sempre più pesanti.
Continuiamo a camminare mentre di fianco ci superano veloci i cavalli con in sella persone dall’aspetto più riposato del nostro. In poco meno di quattro ore raggiungiamo la cima del canyon dove una ricca croce di legno spicca adorna di fiori, in segno di presente e viva venerazione.
Questa prima esperienza di un trekking di due giorni si è rivelata tanto intensa quanto bella; i paesaggi ed i panorami insoliti rispetto ai nostrani hanno fatto da splendida cornice a riflessioni scaturite dai fugaci incontri con la scarna popolazione di quelle terre. Popolazione che continua a vivere in perfetta e completa armonia con la natura, lavorando i fianchi della montagna in modo dolce, come se l’impatto dei terrazzamenti, necessari per la loro sussistenza, fossero un ornamento della stessa, quasi da avere l’impressione che siano spuntati in modo naturale con il formarsi stesso della montagna!
La sola idea di lasciare delle terre così dure, poco floride e alte per delle pendici più pianeggianti e fertili sembra un’idea così stridente con la loro concezione della vita ancora, fortunatamente, distante da quella occidentale e aderente, di contro, a una visione tradizionale.