(a cura della Comunità Militante Raido)
Il Signore Terribile
di Mehmet Frugis – Edizioni di Ar, 2016 – Acquistalo QUI!
“Era tremendo. I suoi occhi da folle brillavano, brillavano. Il barone sedeva senza sella, il suo cavallo batteva lo zoccolo sul terreno”.
Il Barone sanguinario, l’asceta brutale, il Dio della Guerra. Questi sono solo alcuni degli appellativi con cui è noto il barone Roman Nicolaus von Ungern-Sternberg.
Un personaggio che si colloca tra storia e leggenda, tra mito e verità fattuale, proprio perché la sua epopea è mito che si fa storia, essendo percezione comune a chi frequentava Ungern Sternberg, di trovarsi innanzi a qualcosa di più di un uomo.
Varie le pubblicazioni che hanno indagato questa affascinante e misteriosa, quanto luminosa, figura: dal classico Bestie, Uomini, Dei di Ossendowski (1922), a Il Dio della Guerra di Jean Mabire, agli articoli di Evola e dello stesso Guénon raccolti nella produzione a cura di Raido. Ungern Khan è finito persino in un episodio di Corto Maltese! Tutte letture consigliatissime. Ma mancava, forse, un libro che provasse, per quanto possibile, ad inquadrare Ungern Khan dal punto di vista dello storico. Ed è proprio a questa funzione che assolve Il Signore Terribile, agile ma approfondita pubblicazione delle Edizioni di Ar del 2016, a firma di Mehmet Frugis.
Attraverso una meticolosa opera di ricerca negli archivi di tutta l’Eurasia, ma senza mai cadere nelle derive storicistiche e faziose, tipiche del sistema culturale oggi egemone, l’autore ricostruisce la straordinaria vita di Ungern Stenberg.
Nato a Graz (Austria) nel 1885 da madre aristocratica tedesca e padre nobile estone di sangue tedesco, l’irrequieta giovinezza lo vide dividersi tra Parigi e Tallinn, prima di intraprendere la vita militare, in accademia a San Pietroburgo. Dopo la prima guerra mondiale, che combatté, inizia l’epopea del Barone. Ed è qui la parte più avvincente – che si sviluppa senza mai sacrificare l’accuratezza storica – de Il Signore Terribile: la guerra di civiltà contro i bolscevichi, condotta nel cuore dell’Impero Russo insieme a Semenov, il capitano dei cosacchi della Russia Bianca. Ungern e Semenov: entrambi uomini di confine, meno a loro agio nei salotti di San Pietroburgo, che nel fango delle lande a est del lago di Baikal. E, forse proprio per questo, così devoti all’Impero.
Alle reclute del nuovo esercito, venivano poste solo tre domande: “Credi in Dio? Ti rifiuti di riconoscere i bolscevichi? Ti batterai contro di loro?”.
Alle chiacchiere dei rossi, spesso divisi in dibattiti politici o socio-economici, il Barone opponeva una milizia basata su una adesione immediata, spontanea, ai valori dello Spirito. Quei valori calpestati dalla rivoluzione d’Ottobre. Quei valori branditi nelle bandiere recanti la M di Michail Romanov, il volto di Cristo in campo giallo, colore del buddhismo, lo swastika ed il soyombo. Sotto il suo comando, inflessibile ed a tratti crudele, imposto prima a se stesso – attraverso ferrea disciplina ascetica – combattevano infatti mongoli, cosacchi, finanche polacchi. Diverse lingue e religioni, un unico obiettivo: la Restaurazione dell’Ordine tradizionale nel cuore del mondo.
Ed è proprio questo il motivo per cui, caduto in mano bolscevica ogni ettaro di Russia, Ungern Sternberg si ritrova in Mongolia, caduta in mano cinese, nel 1920. Issate le insegne del Sole, si combatte nuovamente contro la bestia rossa. Conquistata, nel gennaio del ‘21, Urga, la antica Ulan Bator, il popolo mongolo è certo. La profezia è avverata, ecco il Dio della Guerra, il nuovo Gengis tornato per la battaglia finale.
Ungern, un uomo venuto dal nord su un cavallo bianco, una furia in battaglia, invulnerabile alle pallottole; agli occhi del popolo mongolo il barone divenne un dharmapala, difensore della fede. Per due mesi gli uomini di Ungern accesero fuochi sulla montagna sacra Bogd Uhl, e i mongoli sussurravano che Ungern facesse sacrifici a Savdag, lo spirito della montagna, per liberare dalla maledizione il Bogd Khan.
Il barone sanguinario con la Croce di San Giorgio al petto, incubo dei rossi, diviene Khan. Mosca decide di agire: arrivano aiuti ai rivoluzionari mongoli, che conquistano la città di Kiathka. Al principio dell’estate, lo scontro ha inizio, e ben presto la situazione precipita per Ungern e le sue esauste truppe. Il 28 giugno l’Armata Rossa supera il confine mongolo, con la missione di schiacciare e distruggere Ungern, “il nemico comune di russi e cinesi”. Gli eventi, narrati con precisione ma senza mai spezzare quell’atmosfera quasi magica che, naturalmente, si crea intorno all’epopea del barone, lo portano, sgusciando tra le file nemiche, a dirigersi verso il Tibet, dove Ungern aveva contatti col Dalai Lama.
Ma i cinquecento uomini rimasti al suo seguito non hanno intenzione di affrontare il deserto del Gobi senza acqua né cibo. Arriva il tradimento. Dopo ulteriori peripezie e interventi del destino, Ungern finisce in mano ai russi, che lo processano nella città più grande della Siberia. Lenin esulta. Quell’uomo che, da solo, non faceva chiudere occhio ai comunisti anche dopo la conquista di tutto il territorio della Russia, era finalmente catturato. Anche la stampa di Londra e Washington rimbalza la notizia, dandolo addirittura per morto due giorni prima della effettiva fucilazione. L’esecuzione avviene in piazza, a beneficio della folla, assetata del sangue dei bianchi. Molte le storie fiorite intorno a quel 15 settembre del 1921, raccolte e raccontate ancora una volta dal Frugis.
La lettura de Il Signore Terribile si pone dunque come una complementare a quelle citate in precedenza, per chi voglia riscoprire e testimoniare la memoria di uomini mercuriali – ponti tra due ordini di realtà, umana e divina – come Roman von Ungern Sternberg.
Reincarnazione del Quinto Bog Gegen, Dio della Guerra, incubo dei rossi.
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