Il nuovo slogan della sinistra ‹‹Credere, obbedire, combattere›› – di Umberto Camillo Iacoviello

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Sono passati poco più di 50 anni dal ’68 quando lo slogan dei manifestanti era il noto ‹‹Vietato vietare››, all’epoca una minoranza rumorosa era in rivolta contro ‹‹il sistema››. Ora quelle idee sono maggioranza, ‹‹il sistema›› e i suoi rappresentati multimilionari hanno idee progressiste, nonostante tutto la sinistra continua ad autoincensarsi proclamandosi come alternativa alla deriva fascista (parola in neolingua per etichettare chi non è un liberal-progressista), alla onnipresente deriva razzista (parola in neolingua per definire chi vuole regolare i flussi migratori), alla deriva omofoba (parola in neolingua per qualificare chi esprime perplessità sulle teorie di genere). Tutte queste presunte derive non sono altro che la reazione naturale di un popolo che è stanco di essere vessato da un sistema sempre più distante dalla realtà.

I progressisti non riuscendo a far presa come vorrebbero, stanno alzando il tiro: dalla denigrazione sono passati alla censura. Questo si origina da una visione manicheistica della società: da una parte ci sono i progressisti, i ‹‹buoni›› mentre dall’altra parte della barricata ci sono i ‹‹cattivi›› ovvero coloro che vengono etichettati come fascisti, razzisti, omofobi e chi più ne ha più ne metta. Forti di questa convinzione, incapaci di interloquire sul piano dialettico, si sentono autorizzati a censurare i ‹‹cattivi››, sono convinti di rendere un servizio all’umanità, senza accorgersi delle contraddizioni in cui ricadono usando strumenti repressivi e autoritari che loro stessi criticano a ideologie passate. Se il fine è il ‹‹bene›› tutti i mezzi sono giustificati. Con queste premesse è pressoché impossibile intavolare ogni tipo di dibattito, se non hai idee progressiste sei ridotto a un “potenziale Hitler” e in quanto tale meritevole di essere diffamato, censurato, estromesso dall’insegnamento (vedi il caso Gervasoni) guai a chi fa notare il parallelismo con il giuramento di fedeltà al regime per i professori universitari del 1931. Si travalicano i limiti della politica, il progressismo diventa una religione politica monoteista incapace di tollerare chi la mette in discussione. Così in nome della libertà e della democrazia, censurano chi non ha idee progressiste e nel caso italiano evitano di andare al voto perché sanno che ne uscirebbero sconfitti. Che idea di democrazia è questa? Per usare le parole di Gaber è “Il potere dei più buoni”. Loro possono perché sono assolutamente convinti di stare dalla parte giusta della storia.

A tal proposito – con i dovuti distinguo – calzano bene le parole di Piero Calamandrei, un antifascista membro dell’Assemblea Costituente, che in più di un’occasione fece dei parallelismi tra PNF e DC, in un articolo pubblicato su ‹‹Il Ponte›› nel giugno 1950 scrisse ‹‹Quando la fede si trasforma in partito e la lotta politica diventa guerra di religione, il partito confessionale è portato anche senza volerlo, anche senza accorgersene, a comportarsi come un partito totalitario: finché sarà minoranza, difenderà la libertà, perché cercherà di servirsene per diventare maggioranza; ma, una volta diventato maggioranza, sentirà il dovere di negar la libertà degli altri, perché il credente ha il dovere di obbedire ciecamente all’unica verità che può salvarlo, e di combattere per sbarrare la strada alla eresia che vuol dire perdizione. “Credere, obbedire, combattere”››

Credere, obbedire, combattere. È sicuramente questo slogan fascista il più adatto per la sinistra odierna: credere e obbedire ai dogmi del progressismo senza obiettare, combattere senza tregua i non allineati al pensiero unico. Per concludere, in Storia del pensiero politico, il politologo Marcel Prélot ci illumina sulla funzione dell’opinione all’interno di un governo ‹‹il linguaggio corrente e il senso comune concordano nel rifiutare il nome di ‹‹governo d’opinione›› alle monarchie tradizionali o alle monocrazie popolari. Questi regimi implicano infatti un monismo fondamentale: ammettono un’unica opinione con cui s’identificano, accettano un’unica dottrina dello stato cui tutti hanno il dovere di aderire. Coloro che si rifiutano di farlo sono nemici, criminali che devono essere eliminati coi mezzi più radicali. Viceversa un autentico regime d’opinione implica il riconoscimento d’un pluralismo dottrinale, la coscienza e l’accettazione di più partiti irriducibili gli uni agli altri, realmente tollerati se non addirittura riconosciuti come l’espressione di una benefica diversità. Mentre le monocrazie vedono nell’opinione solo un elemento passivo cui chiedere appoggio›› conclude poco dopo ‹‹tranne contro coloro che si servono di mezzi illegali, lo stato non dispone di alcun criterio etico per condannare un’opinione››.

Umberto Camillo Iacoviello

Riferimenti
– Lo Stato siamo noi, Piero Calamandrei (Chiarelettere, 2012)
– Storia del pensiero politico, Marcel Prélot  (Mondadori, 1975)