
– Dottore, che cos’ho?
– …
Uno scomodo e arcano silenzio aleggia nello studio…
– La prego dottore! Non mi tenga sulle spine! E’ grave?
– Beh…
Il medico alza gli occhi dal questionario che tiene tra le mani. Li alza lentamente, con aria grave e le rughe della fronte corrucciate con fare preoccupato, forse anche un po’ impaurito.
– Beh – riprende – direi che la situazione è seria…
– Perché, dottore? Che cos’ho? Cosa c’è che non va?
– Lei è malato. E’ una questione seria. Urge far uso di grande cautela.
– Dottore, la smetta per favore! Mi sta facendo paura! Mi dica che cos’ho e facciamola finita!
– Lei, mio sfortunato amico, è molto malato. Lei, mio sfortunato amico, è un “sovranista psichico”!
Il paziente, lo sfortunato amico, sgrana gli occhi, lucidi per la violenza della preoccupazione; dal suo viso traspare solo un sentimento: disperazione. Si guarda le mani, entrambe, e le porta al viso, per accogliervi quei suoi occhi lucidi e disperati. E inizia a piangere. Da oggi la sua vita non sarà più la stessa: lui è il male dell’Europa; lui è il male dell’Italia.
Molti dei lettori si staranno chiedendo la ragione di questa folcloristica scenetta dal tono lontanamente kafkiano e processuale; una scenetta ridicola, certo, se non fosse che drammatizza iperbolicamente quello che potrebbe diventare una realtà in Italia e che, ormai da anni, è una consolidata realtà nel mondo amministrativo e imprenditoriale anglosassone, dove è ormai prassi comune sottoporre i propri dipendenti a test di rilevazione dei bias (ossia i pregiudizi) inconsci nei confronti delle varie e infinite minoranze identificate dal dogma intersezionalista; nonché sottoporre gli stessi dipendenti a training panels e corsi obbligatori di autocorrezione sociale di tali pregiudizi. Ovviamente sorvoleremo sulla discussione che potrebbe sorgere riguardo all’eventuale opportunità naturale ed evolutiva di gran parte dei pregiudizi presenti nei processi cognitivi della mente umana, poiché ciò ci porterebbe lontano dal nostro argomento principale, al quale invece ci preme ritornare.
“Sovranismo psichico” dunque. Di cosa si tratta? Che cos’è? Da dove se ne è uscito fuori? E cosa ha che fare con noi? A tutto questo è necessario rispondere con ordine e calma, partendo dal presupposto che, fino ad oggi, l’Italia era rimasta “indietro” rispetto agli USA e a molti altri stati europei, all’avanguardia rispetto alla lotta ai pregiudizi psicologici inconsci. Ma, finalmente, anche il nostro paese si sta impegnando per mettersi in pari con il resto del mondo civile, con il prestigioso dizionario Treccani che, recentemente, ha inserito una nuova espressione al suo interno: appunto quella di “sovranismo psichico”. Ma di cosa si tratta di preciso? Ebbene, cerchiamo di scoprirlo attraverso le analisi dello stesso dizionario online.
La voce del dizionario recita così: “Sovranismo psichico s. m. Atteggiamento mentale caratterizzato dalla difesa identitaria del proprio presunto spazio vitale“.
La definizione si apre così e, già dall’esordio (e per chi sappia leggere tra le righe), è un inquietante grido di allarme. Infatti il sovranismo psichico risulterebbe non essere altro che la controparte psicologica del sovranismo politico o sociale, l’atteggiamento che lo caratterizzerebbe e che ne sarebbe la causa scatenante. La sua definizione potrebbe non troppo da lontano ricordare quella di una malattia mentale. Ma, al di là della grottesca sensazione che se ne può ricavare, quello che salta subito all’occhio è l’inquietante caratterizzazione dei suoi tratti peculiari. Il sovranista mentale, infatti, sarebbe affetto da un atteggiamento mentale che lo porterebbe a difendere identitariamente un proprio spazio vitale presunto. Le espressioni su cui soffermarsi sono tre.
Prima di tutto, quella della difesa identitaria. Che cosa dovrebbe significare, di preciso, difesa identitaria? Che cosa si intende con identitario? Perché su questo punto bisogna essere chiari: l’identità non è una sola. Esistono molteplici identità: alcune primarie, altre secondarie; alcune oggettive (basate su realtà fisiche o biologiche), altre ancora soggettive e/o psicologiche; alcune sono socialmente accettate, altre meno. Ma la questione inizia a chiarirsi con lo svolgersi della definizione, che ci porta all’espressione più inquietante di tutte.
Il sovranista mentale, infatti, è una persona portata psicologicamente a difendere, sulla base della propria identità, un suo presunto spazio vitale. Non nascondiamoci il significato delle parole: nel mondo contemporaneo, l’espressione “spazio vitale” significa solo una cosa. Significa Nazionalsocialismo. Significa lebensraum, termine tedesco equivalente all’italiano “spazio vitale” e passato alla storia per l’uso che ne fece Adolf Hitler nel suo Mein Kampf, in cui rivendicava il diritto per il popolo tedesco a difendere ed estendere, se necessario, il proprio lebensraum, anche a scapito di altri popoli o razze. Ed è quindi subito chiaro a quale identità si riferiscano i cari signori di Treccani: quella razziale, quella etnica, quella nazionale. Il sovranista psichico, dunque, è un razzista, un nazionalista, uno xenofobo, che, sulla base della sua identità (strano che qui la definizione del dizionario non abbia inserito uno scontatissimo “percepita”, visto che certe identità, al contrario di altre, sembrerebbero non dover esistere), pretende di difendere il proprio spazio vitale. Ma il tutto viene chiosato da un’ulteriore specifica: tale spazio vitale (che, al di là di ogni polemica, ci risulta essere un prerequisito oggettivo per la vita di ogni popolo e nazione) non sarebbe reale, ma presunto. Il che, in termini molto velati, sta a significare che tale spazio vitale identitario di fatto non esisterebbe. O, ancora meglio, significa che, per la Treccani, il sovranista psichico è di fatto molto vicino a un folle, a una persona affetta da allucinazioni, che pretende di difendere in maniera identitaria (e quindi razzista) ciò che è soltanto qualcosa di presunto e, quindi, di inesistente.
Ed è così che, attraverso una analisi decostruttiva della definizione, arriviamo a disegnare il nostro malato immaginario: un uomo affetto da allucinazioni identitarie di lontana ascendenza hitleriana, che pretende di difendere qualcosa che non esiste. Vogliamo proprio dirlo? Un pazzo più o meno scatenato.
Inutile aggiungere che tale definizione si accompagna a una delegittimazione (ormai rampante da diverso tempo) del termine “sovranismo”, intelligente trovata autolegittimante della destra storica nel tentativo di smarcarsi dagli scomodi aggettivi di “neofascista” e “nazionalista”. Ma, si sa, il sistema è più intelligente dei suoi oppositori. Ed ecco che, ben presto, si inizia ad assistere allo smembramento mediatico e semantico di un termine innocuo. E laddove vi era una volta un sostantivo (“sovranismo”), che si rifaceva a un concetto del tutto legittimo e, tra l’altro, tipico della tradizione democratica e illuministica occidentale, come quello di sovranità, ecco che ora appare lo spettro del nazismo, della xenofobia e delle violenze razziali. Il che è in effetti molto strano. Ci pare infatti che una certa Costituzione democratica, osannata da mezzo mondo e sbandierata come lungimirante esempio di incontro tra democrazia liberale e socialismo, ricordi ai proprio lettori che al popolo appartiene proprio la sovranità, protetta dalle istituzioni democratiche e di cui queste sono tra l’altro la diretta emanazione. E fu proprio attraverso il concetto giuridico di sovranità, che la critica illuminista smantellò le basi dell’antico, retrogrado, oscurantista ancien regime (secondo la vulgata moderna, ovviamente). Oggi, invece, sarebbe la conseguenza politica di un uomo malato di razzismo, intento a difendere uno spazio vitale che non esiste? Strano. Strano davvero. Perlomeno curioso.
Eppure, questa storia grottesca non finisce qui. Perché la Treccani, da diligente alunna del mondo accademico, ci tiene a fare le debite citazioni. Ed ecco, quindi, che viene chiamato in campo un certo Roberto Ciccarelli, giornalista del Manifesto (certo un giornale che sarebbe difficile accusare di partigianeria, no?), che sottolinea con puntualità: “sovranismo psichico, prima ancora che politico. È la definizione del Censis nel 52esimo rapporto presentato ieri al Cnel a Roma. Più che un’analisi sui dati dell’economia, e della sua crisi, l’indagine trova un suo interesse per il panorama che offre sulla crisi della soggettività nell’epoca del risentimento e del «populismo» al potere. L’espressione ridondante di «sovranismo» non allude solo al conflitto tra Stato-Nazione e tecnocrazia europea, ma al cittadino-consumatore che «assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio»“.
Per il puntuale sig. Ciccarelli è confermato: il sovranismo, così come il populismo, non sono un problema politico, se non secondariamente e in posizione del tutto derivata. Il problema è anzitutto psichico. Sono gli uomini a fare la politica. Sono i sovranisti a fare il sovranismo. E, sempre secondo il nostro buon Ciccarelli, non v’è spazio per alcun dubbio: il problema è il sovranista psichico. Una categoria umana, che rappresenterebbe una crisi interiore e psicologica della soggetività, dell’individuo e del cittadino occidentale, il quale, accartocciato sul suo risentito egoismo di consumatore, diviene un nuovo Torquemada, paranoico cacciatore di streghe e capri espiatori. Inutile osservare, che le streghe e i capri espiatori sono, in questo caso specifico, i poveri pedoni della globalizzazione, ossia tutte le minoranze etniche, ogni tipo di immigrato e di straniero residente sul territorio nazionale (ma potrebbero essere anche, in altri contesti, gli omosessuali, le donne, i trans, i disabili e così via ad infinitum). Insomma, il mondo del sovranismo, insieme alla sua idea di sovranità (che, fino a prova contraria, si caratterizza sempre e comunque come sovranità popolare, da cui appunto il populismo), non sarebbe altro che una accozzaglia di folli risentiti, allucinati e paranoici in cerca del loro agnello di Pasqua da sgozzare, oltre a divenire i rappresentanti di una crisi generale della soggettività del cittadino-consumatore occidentale.
Una tragedia.
Ma andiamo avanti, perché le novità non finiscono qui. Qualora non bastasse, ci pensa Luciano Casolari, giornalista del Fatto Quotidiano, a dare l’ultima stoccata, a portare avanti il colpo di grazia, mischiando pure imposizioni politico-ideologiche ad affermazioni intellettualmente disoneste sulla natura del sovranismo, in un passaggio pieno della peggior verve del progressismo nostrano, difficile da leggere fino in fondo senza provare il bisogno di allungare la mano verso la nostra confezione di Gaviscon: “Non accettiamo la realtà del nostro futuro che sarà nella globalizzazione dei mercati e in una società multietnica e multirazziale? Noi italiani che corrispondiamo a meno dell’1% della popolazione mondiale vogliamo metterci alla guida dell’altro 99% affermando che devono fare quello che riteniamo giusto noi? Naturalmente, in questo modello di pensiero, se gli altri popoli non si adeguano ci sentiamo incompresi e accerchiati per cui costruiamo dei nemici mentali che in questo momento storico sono i migranti e le istituzioni sovranazionali come l’Unione europea, i mercati, il Fondo monetario, etc.“
Una sola parola: capolavoro. Niente da fare. Non solo i sovranisti sono dei malati mentali, ma son anche degli stolti, dei retrogradi e oscurantisti nemici del progresso umano. Sono quelli che non accettano la realtà, l’inevitabile dato di fatto, secondo Casolari, del nostro futuro, destinato a realizzarsi in una finale e gloriosa globalizzazione dei mercati e in una società universale multi-etnica e multi-razziale. Questo è il futuro, questo è il domani, questa è la cittadella della novella Sion del genere umano. Credi forse che sia un’assurdità? Credi che sia un processo opprimente e disumanizzante? Credi che tutto ciò non porti vantaggi reali e profondi ad alcuno, se non alle esigue élite economiche e finanziarie, che tirano i fili del progetto? Hai forse il coraggio di far notare che, nell’epoca della globalizzazione coatta, le problematiche sociali negli stati occidentali sono gravi quanto mai prima d’ora, che i rapporti interpersonali sono sempre più difficili e mediati, che le crisi depressive sono in rampante aumento, così come il tasso generale di suicidi, che i conflitti etnici sono sempre più acuti e profondi e che il potere d’acquisto del cittadino medio occidentale non è mai stato così basso come oggi, mentre mai come oggi si è allargata la forbice tra coloro che non hanno e coloro che hanno in sovrabbondanza (e ci fermiamo qui, perché potremmo continuare per almeno un’altra decina di pagine)? Insomma, ha qualche dubbio? Mi spiace, caro il mio signore, lei è gravemente malato: lei è un sovranista psichico, un soggetto affetto da atteggiamenti paranoici di difesa nei confronti di un oggetto presunto e quindi inesistente. Si faccia curare.
Ma non finisce qui. Qualora non ci bastasse essere bacchettati dal probiviro del Fatto, ecco che tutto ciò viene condito con una volontaria deformazione della realtà nazionale, quando Casolari afferma che “noi italiani che corrispondiamo a meno dell’1% della popolazione mondiale vogliamo metterci alla guida dell’altro 99% affermando che devono fare quello che riteniamo giusto noi“. E qui direi che c’è poco da commentare. Vi sfido (nel paese dell’autoflagellazione per eccellenza e nell’epoca dell’apertura mentale coatta) a trovare un solo italiano medio sano di mente e che non sia affetto da turbe psichiche (e queste veramente conclamate), che abbia il coraggio di affermare che egli pretenda che gli italiani guidino il destino del mondo, o anche solo dell’Europa. Tutto ciò, oltre a essere una chiara deformazione dei fatti e della realtà, è follia. Follia vera. Follia funzionale a una demonizzazione, stavolta, non solo di una singola parte politica, ma di un popolo intero. Il giornalista del Fatto, infatti, non parla di sovranisti, ma si riferisce a tutti gli italiani. L’accusa di sovranismo psichico è stavolta rivolta al popolo tout court: “noi italiani siamo malati e, quindi, dobbiamo curarci. Siamo affetti da gravi manie di onnipotenza“. E oltretutto, sempre secondo il nostro amico del Fatto, la nostra risposta al diniego degli altri popoli alla nostra supposta volontà di dominio sarebbe quella di offenderci, di mettere il broncio e di crearci dei nemici immaginari che non esistono, come gli immigrati o le istituzioni sovranazionali, quali Unione Europea o Fondo Monetario Internazionale, le quali, per il nostro amico probiviro, sono evidentemente dei disinteressati benefattori dell’umanità, che noi vorremmo schiacciare senza pietà e con conclamata crudeltà.
E, infatti, continua il Casolari: “Ringrazio il Censis e il Dr. De Rita per aver chiarito, inventando il termine sovranismo psichico, questo modello di pensiero e perché poi, inevitabilmente, sfoci in rabbia e cattiveria verso gli altri“. Non c’è niente da fare. Non siamo solo malati mentali. Siamo anche arrabbiati. E siamo cattivi. Siamo malvagi. Malvagia la sovranità. Malvagio il sovranismo. Malvagio il popolo. Malvagi gli italiani che nutrono dubbi sulla bontà del processo di integrazione globale politica e finanziaria del pianeta. Perché in fondo, nell’ultima citazione della voce Treccani, questo gretto e arretrato popolo italiano, malato cronico di sovranismo psichico è un povero, ignorante prigioniero, rinchiuso “nei miti della ‘Piccola Patria’ e nei riti del ‘sovranismo psichico’“. Parola del giornalista di Repubblica Massimo Giannini.
Perché la verità è una sola e non c’è via di scampo: se questo mondo che cambia e scappa da se stesso a una velocità impressionante, seguendo nuovi paradigmi sociali e politici, ma soprattutto umani, di cui mai s’era sentito parlare fino a 40/50 anni fa e che, dopo millenni di una umanità in fondo pacificamente sicura di alcune stabili e solide certezze esistenziali, vengono invece oggi sbandierati, per la prima volta da quando l’uomo è comparso sulla faccia della terra, come leggi incontrovertibili del progresso umano; se questo mondo impazzito, dove non esiste più un giorno uguale al precedente, dove sempre più sono i volti degli sconosciuti rispetto alle facce note, dove la gente va e viene senza sosta, priva di certezze e di sicurezze sul proprio futuro; se non ti convince il fatto che, da un mondo fatto di piccole patrie (certo piene di difetti, ma che per millenni hanno garantito la sopravvivenza e lo sviluppo della specie più complessa del pianeta), si debba ora, nell’arco di una manciata di anni, rinunciare a tutto ciò che credevamo essere le certezze della nostra vita di tutti i giorni, per gettarci a occhi chiusi nel precipizio di un progetto messianico globale, sperando che in fondo ci sia un grosso e morbido materasso ad accogliere i nostri stanchi e spossati corpi di piccoli uomini… Ebbene, è meglio che tu ti faccia vedere. E da uno bravo.
Leo Sevis