I giganti delle big tech, fra cui Google, hanno presentato al mercato una soluzione di digitalizzazione dei documenti di identità che consente di superare i vecchi documenti cartacei, al fine di trasferire la propria identità su supporto digitale. Tradotto: cestinate i documenti in carta o plastica e utilizzate solo lo smartphone. La prima, immediata, riflessione dell’uomo qualunque è di ordine pratico: sicuramente è un vantaggio e una maggiore comodità. Ma siamo sicuri sia proprio così? Proviamo ad analizzare alcune criticità di questa soluzione che, volutamente, non ci viene raccontata da chi vuole propinarcela:
1. Se la prova della mia identità è contenuta in uno strumento digitale, questo strumento non dovrà mai potersi spegnere. Dovrò, cioè, essere sempre connesso e reperibile. Non potrò decidere, per esempio, di staccare per qualche ora dal mondo, o andarmene in montagna o al mare dove il telefono non prende, sia perché non potrò staccarmi da fonti di ricarica e sia perché senza connessione internet sarei tecnicamente senza documenti, quindi starei infrangendo la legge.
2. Se devo sempre alimentare il mio telefono, dovrò avere un telefono sempre performante e ad alte prestazioni. Non potremo avere telefoni obsoleti o che si scaricano troppo in fretta e, prevedendo una obsolescenza programmata, ciò significa che ogni uno o due anni dovrò ricomprare il mio cellulare con un enorme vantaggio dei produttori.
3. Se per comprovare la propria identità occorrerà essere sempre connessi, viene da chiedersi quale certezza oggettiva e strutturale abbia il dato relativo alla propria identità che venga veicolato e mantenuto in qualche cloud o server. Un cloud o un server che, per esempio, viene utilizzato dalla Repubblica Italiana ma che fisicamente è, magari, negli Stati Uniti. Chi è, de facto, il proprietario del dato?
4. Se la mia identità è legata a un dispositivo digitale, si suppone che questo debba essere controllato da remoto, in tempo reale, per certificare il dato come valido. Questa è una palese limitazione della propria libertà personale e della propria sfera, visto che dovrò notificare implicitamente in ogni istante dove io mi trovo. Inoltre, viene da sé pensare che nel momento in cui possa trovarmi nella condizione di non aver adempiuto a qualche onere nei confronti dello Stato (es. una cartella delle Agenzie delle Entrate) io non possa in alcun modo esimermi dall’essere sempre reperibile, e perciò qualunque atto mi verrebbe notificato in tempo reale. Potremmo, paradossalmente, essere arrestati con un click.
5. Questa soluzione, funzionerà solo con il 5G. E chi detiene la tecnologia 5G? Ovviamente i giganti del mondo tech che prima ti vendono lo strumento e solo dopo ti dicono che per farlo funzionare dovrai approvvigionarti per sempre da loro. E non parliamo di tecnologie “open” o di aziende non legate a entità nazionali: parliamo di uno dei fronti caldi su cui si sta già combattendo la guerra del futuro-presente. Riprova ne è la guerra commerciale Usa-Cina che si muove anche sui binari del tema del 5G.
Queste sono solo alcune delle criticità che un sistema del genere comporta. Criticità che, in realtà, sono i veri scopi che motivano questo tipo di evoluzione tecnologica a servizio della modernità.
(tratto da www.corriere.it) – La patente e la carta d’identità arrivano sullo smartphone: l’addio definitivo al portafoglio
Qualcomm insieme a Google ha presentato Identity Credential, il servizio che permetterà ai nostri telefoni di sostituirsi ai documenti fisici: «Dipenderà poi da singoli Stati decidere quando adottare il sistema». Un futuro fatto da super-smartphone alimentati dalla benzina del 5G [l’articolo prosegue qui]