Rula Jebreal sa fare tutto, tranne che la madre… – di Leo Sevis

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Ospitiamo un nuovo articolo di Leo Sevis, appena arrivato.

Rula e le mamme d’Italia… che non sanno più fare il loro lavoro!
Non azzardarti ad andare in quel quartiere, ché ti faccio carino!“, “se ti becco in giro con quel ragazzaccio ti metto in punizione per un mese!“, “se non rientri per l’ora di cena ti chiudo in camera tua e butto via la chiave!“…
A chi non è mai capitato di sentirsi bacchettare dalla propria mamma o, forse in modo un po’ meno elegante, dal proprio papà, o, perché no, di prendere qualche sonoro sganassone dai suddetti, quando era bambino e gli capitava di infrangere divieti simili a quelli posti in apertura di questo articolo? Si tratta di frasi quasi archetipiche, in fondo, fatte con lo stampino e identiche per tutti i genitori e per tutti i figli: sono quei moniti atavici, derivanti dalla genuina preoccupazione dei genitori per la salute e la crescita dei propri figli che si affacciano alla vita: essi sono infatti consapevoli del fatto che, per la vita quotidiana di un ragazzo e di una ragazza, esistono delle situazioni potenzialmente pericolose, che andrebbero evitate in ogni modo, per scongiurare il più possibile esiti spiacevoli e sfortunati.Per questo i nostri genitori ci raccomandavano di non frequentare quel “ragazzaccio”, noto a tutti magari per essere un bulletto o un teppistello di quartiere che si cacciava spesso nei guai; o di tenersi alla larga da certe zone della città, talvolta più malfamate o pericolose di altre, quando si usciva a giocare con gli amici; o di non rientrare tardi la sera, perché si sa: una comunità può essere civile quanto si desideri, ma una catena è sempre forte quanto l’anello più debole della stessa e di notte sarà comunque più facile imbattersi in quegli inevitabili pericoli, che sempre sono stati e sempre saranno presenti in ogni comunità cittadina. Ecco quindi la ragione di quelle piccole e saltuarie limitazioni delle nostre libertà di adolescenti, che da giovani ci davano così fastidio e, perché no, ci facevano magari sentire anche un po’ in gabbia. Certo, è vero che il male che subiamo dal prossimo può essere indipendente dalle nostre azioni e dalle limitazioni che imponiamo alle nostre libertà, ma è pur sempre ragionevole fare in modo di non andarcelo a cercare e di limitare il più possibile tutta quella serie di circostanze, che potrebbero aumentarne le probabilità. “Tesoro della mamma, non correre troppo con la bici, mi raccomando!“: e se poi il “tesoro della mamma” decidesse di andare a spron battuto con la sua bicicletta nuova di zecca e finisse per prendere una buca accidentale nel manto stradale, andando a ruzzolare per terra e magari a sbucciarsi gomiti e ginocchia, certo sarebbe colpa di quella sciagurata buca (causata dalla negligente amministrazione Raggi, chi lo sa?), ma se avesse proceduto con maggiore cautela, come gli aveva raccomandato la sua saggia mamma, ora non starebbe piangendo lacrimoni a terra sul selciato, con tanto di mamma che, assestatogli un sano e correttivo scapaccione, gli dice: “e allora? Che ti avevo detto?“. Insomma, il male può caderci addosso (e spesso ci cade addosso) senza nostre dirette responsabilità, ma senza dubbio è in nostro potere l’antica e saggia facoltà di cercare di circoscrivere i pericoli. Eppure, pare che, nella civile, tollerante e inclusiva società italiana degli anni ’20 (quelli nuovi, si intende), la previdenza e la lungimiranza non siano più virtù, ma vizi e disumana malizia.
E’ la sera di martedì 4 febbraio e sul palco dell’Ariston di Sanremo è attesa con trepidazione l’attivista israelo-palestinese Rula Jebreal, che si presenta davanti ai riflettori bellissima (come pare piaccia ad Amadeus, direttore artistico del festival della canzone italiana per l’anno 2020) e in una splendida mise bianco-dorata, che potenzia ancora di più l’effetto delle luci del piccolo schermo, in contrasto con la sua pelle color della terra di Palestina: l’impatto è senza dubbio impressionante, tutti restano in silenzio, pendendo dalle labbra della bella (come pare piaccia ad Amadeus) israeliana. Ed ecco che la signorina Jebreal dà inizio al suo monologo, che, è già chiaro dalle sue prime parole, avrà come tema la condizione della donna e le violenze che tante donne nel mondo sono costrette a subire, sostenuta in ciò anche dalle sue personali esperienze in Medioriente (chissà perché, non in Italia): ma i contenuti non saranno all’altezza delle premesse.
Infatti, dopo una lunga tirata su come Rula senta recisamente scopo della sua vita quello di fare il possibile per rendere il mondo “un posto migliore per tutti, ma soprattutto per le donne” e dopo la temeraria affermazione che “in Italia, negli ultimi tre anni, tre milioni di donne sono state vittime di violenza“, disegnando così un paese di violentatori seriali (su entrambe le affermazioni torneremo in seguito), la Jebreal conclude più o meno il suo discorso con questa affermazione, rimbalzata il giorno successivo da tutte le maggiori piattaforme mediatiche della nazione: non si chieda mai più a una donna che è stata stuprata com’era vestita lei quella notte. E qui, come si dice, casca l’asino!
Già qualche tempo fa, in occasione della pubblicazione dell’ultimo bollettino ISTAT sulle relazioni di genere in Italia, il sottoscritto avrebbe voluto fare qualche osservazione in merito, visto che gli statistici e i media si meravigliarono del fatto che una grossa fetta di italiani e italiane ritenessero che il modo di vestirsi potesse essere un fattore rilevante nelle cause di uno stupro.
Ora, prima di procedere, è bene fare brevemente chiarezza su un fatto, chiarezza a nostro avviso superflua e del tutto imbecille, ma necessaria in questi tempi di caccia alle streghe. Pagheremo quindi il nostro gettone d’entrata nell’agone dell’opinione pubblica: riteniamo sia superfluo e di una paurosa banalità condannare moralmente l’atto dello stupro, poiché tale condanna è da sempre presente, oltre che nella natura stessa dell’uomo civile, nella stessa storia di tutte le grandi civiltà del passato, dove l’onore della donna, lungi dall’essere svilito, è protetto e conservato. Lo stupro, la violenza contro le donne è da sempre un atto aborrito da ogni comunità e spesso punito anche, in certe circostanze, da determinati gruppi criminali. Inutile dunque ribadire come la violenza sessuale o di genere siano atti che ci disgustano profondamente, ingenerando in noi nausea e repulsa.
Il sottoscritto ha sempre provato maggior disgusto per lo stupro che per l’omicidio in sé, fin da quando era bambino, per tutta una serie di circostanze che qui non è necessario richiamare. Lo stupratore è essere umano che ha perso la facoltà di controllare razionalmente i propri istinti, abdicando così a quel tratto peculiare che lo distingue dal bruto animale: in quanto tale, egli è al di fuori della società ed è giusto e doveroso che venga allontanato da essa e da essa punito, nei modi e nei tempi che, ovviamente, siano previsti dalla legge. Comunque sia, egli, nell’atto di commettere stupro o violenza, ha corrotto la propria natura e, per quanto ci riguarda personalmente, non è più un essere umano, ma una bestia schifosa.
Detto ciò, passiamo ora ai fatti. L’ISTAT, così come la Jebreal e tutta la combriccola progress, si meraviglia del fatto che nel 2020 ci siano ancora uomini e donne che si chiedano come fosse vestita una donna la sera (perché spesso accade di sera, ricordate la raccomandazione della mamma?) in cui ha subito violenza. Eppure tale domanda, che, inutile negarlo, sorge spontanea nelle persone di buon senso, forse sorge spontanea proprio perché è espressione di buon senso. Chiariamo meglio: lo stupratore è una bestia, un non-uomo, un reietto e uno schifoso. Ma è pur vero che, da quando il mondo è mondo, i non-uomini e le bestie sono sempre esistite. Per quanto una società possa essere civile e sviluppata sulla base dei dettami della ragione, esisteranno sempre essere umani che non vorranno (e si chiamano sociopatici) o non saranno in grado (per diversi motivi) di sottomettere i propri istinti animali alla ragione: ed è da questa situazione endemica e ahimè naturale della società che nasce la violenza in genere, proprio per prevenire la quale è nata millenni or sono la società civile. Ma la società civile è pur sempre un prodotto umano e quindi imperfetto, soggetto a debolezze ed incrinature e, proprio come una catena, la società è tanto forte quanto il suo anello più debole (in questo caso il non-uomo, la bestia fuori controllo): aspettarsi una società perfetta è utopico e al di là delle possibilità umane.
Ed è qui che torniamo alle mamme, ai nostri genitori, alla saggezza di chi ci ha cresciuto. E’ per questo che, nella millenaria storia delle società umane, nonostante il loro alto grado di raffinatezza culturale e politica, non è mai venuta meno la necessità della lungimiranza e della previdenza individuali: il nostro povero ragazzino in bicicletta non aveva alcuna colpa della buca che si è trovato inaspettatamente innanzi in mezzo al manto stradale (e magari i genitori, lo speriamo, faranno pure causa al Comune di Roma Capitale!), eppure, se avesse proceduto a velocità più contenuta, magari andando anche contro il proprio istinto di sano ragazzino, non sarebbe caduto, o avrebbe avuto modo di vedere la buca per tempo e dunque di evitarla. L’autista, che procedeva a velocità sostenuta e che è stato travolto dall’auto che non ha rispettato lo stop, non avrà di certo alcuna colpa secondo il codice la strada (come è giusto e sacrosanto che sia), ma forse, se avesse proceduto con più calma e cautela, avrebbe fatto in tempo ad arrestarsi ed evitare il pirata della strada. Come dice spesso la nonna del sottoscritto: “vedi che se annavi piano non te piava!“… e non stiamo qui a trattare un altro tema: perché correre? Perché vestirsi in maniera succinta? Cosa si vuole dimostrare? Altri temi, che affronteremo, ma non qui e non ora.
Ma cosa significa tutto questo? E cosa c’entra con la frase della Jebreal? Significa che anche se il nostro ragazzino e il nostro autista non hanno alcuna colpa e non erano in alcun modo tenuti a limitare le loro libertà per garantire la loro propria incolumità, ciò nonostante rimaneva loro aperta la possibilità di prevenire in tutto o in parte il formarsi di quel contesto (indipendente dalle variabili di controllo sociale e civile), che ha fatto sì che la fatalità (la buca) o l’irresponsabilità e la mancanza di autocontrollo (il pirata della strada) li danneggiassero. Il pirata della strada, giustamente e secondo diritto, finirà comunque in carcere o sarà costretto al risarcimento danni, ma il danneggiato rimarrà nondimeno col rammarico di non aver evitato un incidente che, forse, poteva essere scongiurato nella migliore dell ipotesi; nel caso della peggiore, la morte, a rimanere con tale disperato rammarico saranno i suoi cari, che non trarranno alcun giovamento per la loro infinita sofferenza dal fatto che siano stati risarciti o il colpevole incarcerato: in fin dei conti, l’accortezza e la previdenza (nel momento in cui non si può far necessariamente conto sulla responsabilità del prossimo) sarebbero stati l’unico vero rimedio. Ecco perché quell’affettuoso “vedi che se annavi piano non te piava” non suona in alcun modo, alle persone di buon senso, come una giustificazione del pirata della strada, ma, al contrario, come un segno d’affetto della nonna nei confronti del sottoscritto, di cui ha a cuore la vita e il benessere.
Ci avviamo così alla conclusione di questa lunga ma necessaria disamina, perché, in fin dei conti, qual è la differenza tra il confidenziale “vedi che se annavi piano non te piava” e il più cauto e circospetto “ma lei come era vestita“? A chi non abbia la mente e l’anima offuscate dalla malizia, è chiaro che a nessuno che abbia buon cuore e buon senso verrebbe mai la sciagurata idea di giustificare uno stupratore sulla base della mise della vittima; semplicemente, l’uomo e la donna di buon senso sanno che non tutti gli uomini sono sempre civili e in grado di tenere a bada i loro istinti: alcuni non sono altro, ahimè, che bestie che andrebbero esiliate dalla società civile. Eppure esistono e sempre esisteranno: ed è a questo punto che, in determinati contesti, secondo l’essere umano di buon senso, dovrebbe entrare in gioco la prudenza, l’extrema ratio e, forse, se nella notte del suo stupro quella vittima disgraziata (come il ragazzino che la prossima volta andrà certo più piano), magari sapendo di trovarsi in un contesto sociale potenzialmente a rischio, avesse indossato abiti più modesti (non brutti) e meno provocanti (non meno eleganti), forse avrebbe potuto aumentare anche solo di un centesimo le possibilità di prevenire l’attacco vergognoso di una bestia (non un uomo), che non è in grado di vivere in società e che, incapace di dominare i suoi più bassi istinti, è naturalmente eccitato e reso quindi più pericoloso da abiti succinti e rivelatori. Ma come era vestita?” non è un atto d’accusa, ma un moto di empatia, una frase che manifesta, in persone di buon cuore e buon senso, vicinanza alla vittima e seria preoccupazione per l’accaduto, perché, in fondo, al suo posto avrebbero potuto esserci loro… E se Rula Jebreal non è in grado di capire tutto questo, allora le alternative sono due: o Rula Jeabral è una donna tecnicamente maliziosa, incapace di fidare nella buona volontà del prossimo (il che sarebbe in realtà molto triste), oppure a Rula Jebreal manca quel basilare e del tutto naturale buon senso, che è biologicamente e culturalmente ingranato nel profondo di ogni essere umano e che permette a ogni individuo di far conto non solo sulla società che gli garantisce i più sofisticati mezzi di sicurezza, ma anche e soprattutto sulla propria capacità di giudicare le singole circostanze e di prevenire, per quanto possibile, la pericolosità di determinati contesti, diminuendo così le possibilità, sulla base della propria personale responsabilità, di essere danneggiato. Perché il mondo avrà sempre i suoi schifosi bruti e non sarà l’indignazione innaturale di Rula Jebreal a fermarli, ma, al contrario, laddove la società civile e l’educazione non possono arrivare, forse sarà una piccola e banale accortezza a salvare la prossima donna potenziale vittima di stupro, quando si ricorderà di come sua mamma le diceva di non andare in giro da sola di notte o non vorrai mica uscire di casa vestita così?!: o forse la nostra poco empatica Rula avrà il coraggio di sostenere che quella mamma era una incivile sessista, che voleva giustificare l’aggressore di sua figlia? Ma si sa, da tempo questa società del progresso sembra aver sconfessato tutto ciò che, fino a nemmeno 50 anni fa, sembrava del tutto naturale e che oggi, invece, pare essere il cappio del patriarcato stretto intorno al delicato collo di ogni candida fanciulla… Forse le mamme d’Italia non sanno fare il proprio lavoro e sono tutte degli ignobili sciacalli…
NOTE FINALI
Non ci siamo però scordati delle due curiosi affermazioni di Rula, che hanno preceduto la sua patetica chiosa.
Pare che Rula viva la sua vita impegnandosi per rendere il mondo un posto migliore per tutti… ma soprattutto per le donne! Ah sì? E perché mai? Forse che gli uomini non sono creature di Dio (o del Big Bang, faccia lei) al pari delle donne? Allarme razzismo!
Inoltre, pare che Rula, oltre ad essere non molto previdente e pure razzista, sia anche bugiarda, o perlomeno male informata. Ha infatti affermato che in Italia, negli ultimi tre anni, tre milioni di donne hanno subito violenza. Ora, al sottoscritto piacerebbe davvero capire a quali fonti abbia attinto la bella palestinese, perché, siamo onesti, se questi dati fossero veri e li volessimo assolutizzare rispetto alla popolazione maschile italiana, ipotizzando per assurdo che ogni violenza subita da queste tre milioni di donne sia stata compiuta da un maschio italiano diverso, ciò significherebbe che in Italia esistono tre milioni di violentatori, il che, rapportato alla popolazione maschile assoluta (senza quindi prendere in considerazione coloro che non sono in condizioni di commettere atti di violenza per età e stato fisico e mentale, il che alzerebbe di molto la percentuale relativa), vorrebbe significare che il 10% della popolazione maschile italiana è composta da stupratori: insomma, quando camminate per strada, state attenti, perché ogni 10 uomini incontrati, uno potrebbe violentarvi! Questo si chiama delirio! Si chiama menzogna, visto che i dati ISTAT (una fonte non certo patriarcale e sessista) forniscono una realtà dei fatti ben diversa.
Se ci concentriamo infatti sui dati riguardanti le denunce aggregate per violenza, ossia percosse e violenza sessuale (che sono gli unici dati statisticamente reali su cui potersi basare, con buona pace della Rula di turno), queste sono le cifre per il biennio 2015/2016: 33.368 denunce (19.548 + 13.820), di cui rispettivamente il 68% e il 56% archiviate; delle restanti, le condanne ammontano rispettivamente a 368 per percosse e 1432 per violenza sessuale, ossia rispettivamente il 2% e il 10% delle denunce totali. Nel complesso, dunque, in Italia per il biennio 2015/16 (siamo vicini al triennio jebrealiano) abbiamo un ammontare di 1.800 condannati per violenza contro le donne. Il sottoscritto non è un matematico, ma 1.800 sembra una cifra ben lontana da quel bel 3.000.000 a sei zeri… E visto che al sottoscritto sta a cuore la trasparenza, ecco il link ai dati ISTAT, nonché a un contributo online, che effettua una serrata analisi sugli stessi dati.
Qualcuno, a discolpa della povera Jebreal, ha sostenuto che il monologo sia stato scritto a quattro mani da lei e dalla tristemente nota Selvaggia Lucarelli, il che, tuttavia, non discolperebbe la Jebreal, perché chiariamoci: in questo caso ci troveremmo dinnanzi non a una, ma a due bugiarde, o, nella migliore delle ipotesi, la povera Rula, gabbata dalla malfidata Selvaggia, sarebbe solo una vittima della sua irresponsabilità, il che, a ben pensare, oltre a non essere meno grave, su un palco guardato da praticamente la metà degli italiani, non sarebbe poi nemmeno tanto improbabile, viste le sue opinioni in merito a buon senso e previdenza…

Leo Sevis