
Un certo filone storico-letterario, specialmente di matrice femminile, vorrebbe sottolineare la responsabilità delle donne dietro la grandezza dei “loro” uomini, siano esse madri, mogli, figlie, sorelle, etc. Senza dubbio è possibile affermare che dietro un grande uomo potrebbe celarsi anche una grande donna. Ma questa prospettiva purtroppo è maturata da un terreno contaminato di ideologie faziose e minanti a dividere, anziché ri-unire, l’uomo e la donna.
I casi della storia sono tanti e in questa sede non proporremo alcuna analisi specifica, piuttosto citeremo semplici figure per meglio articolare il nostro discorso. Prendiamo l’esempio mitico di Arianna, unita nel disperato amore a Teseo, colei che lo salvò dal mostro del labirinto interiore, il Minotauro; o a Tanaquilla, regina e moglie di Tarquinio Prisco che, ispirata dagli Dèi, lo indusse a porre un tassello importante per il ruolo di Roma nella Storia; o ancora Lucrezia la quale, per preservare l’onore del marito e della sua stirpe, compì il sacrificio supremo, quello della propria vita.
Abbiamo citato sporadici casi della storia antica, ma pensiamo a Elena e Flaccilla, rispettivamente madre di Costantino il Grande e moglie di Teodosio, gli imperatori del primissimo cristianesimo più noti alla grande storia, o ancora a Teodolinda, regina dei Longobardi, fino a Santa Rita: tutte loro guidarono il proprio popolo e i loro uomini verso la luce della fede, spesso in misura maggiore dei consiglieri e degli stessi teologi.
Che cosa hanno in comune tutte queste donne vissute in epoche tanto differenti e animate da un Credo spirituale sempre diverso nei suoi aspetti formali? È presto detto: la forza della donna non sussiste nella capacità di modellare l’uomo, ma nella volontà e nella possibilità di elevarlo. Questi esempi femminili, nel silenzio, hanno lavorato per secoli affinché i loro uomini potessero liberarsi dai pericoli dell’anima e crescere, elevarsi e conquistare quel titolo di “Magno” che oggi li vede protagonisti di intere collane biografiche. La donna ha la vita nelle sue mani, la delicatezza negli occhi e la sovrumana forza del cuore di “generare la vita nei cieli“, scrive il prof. Mario Polia.
Al versante opposto incontriamo Circe, Medea, le spietate imperatrici romane capaci di uccidere i loro stessi figli e le amanti dissolute dei grandi uomini di governo. Donne che schiacciano verso il basso, trattengono o abbandonano. La storiografia contemporanea di ispirazione anglosassone utilizza queste figure come cavallo di battaglia per un “payback” ideologico dove all’uomo vengono contrapposte una grottesca Lilith, versione sempre nuova di una pseudo-femminista Giovanna d’Arco, e la modernità di una ragazza dell’età del bronzo che si vuole “libera e indipendente” (da cosa?), tale fanciulla di Egtved, della quale poi non sappiamo praticamente nulla.
Insomma l’uomo è argilla nelle mani della donna? No, non è esatto.
L’unico plasmatore d’argilla, il solo vero “vasaio” nella vita di un essere umano, uomo o donna che sia, è Dio. Il riferimento diretto a questa metafora ci viene dal sacro testo biblico che subito ci porta all’interno della bottega in cui Geremia è spinto dal Signore ad entrare per ricevere l’annuncio che il popolo d’Israele è nelle mani di Dio (Ger 18,2-6) a cui fa risonanza il passo: «Come l’argilla nelle mani del vasaio che la modella a suo piacimento, così gli uomini nelle mani di colui che li ha creati» (Sir 33,13).
La sapienza scritturale mostra anche l’impegno e l’apprensione per l’attività vascolare artigiana, la stanchezza cui si riducono i piedi nel far girare la meccanica del tornio e lo sforzo delle braccia per vincere la resistenza dell’argilla (Sir 38,29-30). Non a caso il momento più delicato del processo di tornitura è l’inizio, il primo movimento, lo spunto dal quale genererà la manifestazione di tutto il resto dell’opera. È la fase della centratura poiché per la bella e buona lavorazione è necessario che tutta la materia trovi il suo centro.
La vocazione dell’argilla, dell’essere umano, è di trovare un centro attorno al quale permettere a tutta la vita di iniziare a ruotare. Il punto d’equilibrio non è qualcosa di immediato, occorre non agitarsi, dare un ritmo, imprimere decisione ma non violenza, a tratti guidare a tratti lasciarsi guidare dal movimento, dalla rotazione, ma sempre con fermezza, saldi, attendendo che l’umida terra sia tutta ricondotta. Lo fa il Vasaio, lo fa l’Uomo.
Questa è l’opera scaturita dal principio con la creazione; questo è il travaglio della storia che ancora non è giunta al suo compimento e ancora tutto non gira attorno al suo principio (Ef 1,10).
