IL CUORE DEI VENTI DIVINI – Lettere dei kamikaze giapponesi in punto di morte – 5

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tratto dal libro Vento Divino. Kamikazi!
Autori: Rikihei Inoguci e Tadasci Nakajima
Quali erano dunque i pensieri e i sentimenti dei piloti suicidi quando si offrivano volontari, quando aspettavano il loro turno di volo e quando poi partivano per le loro missioni?
Dopo la guerra, il signor Ciro Omi compì un vero pellegrinaggio, durato quattro anni e mezzo, per visitare, in tutto il Giappone, le famiglie dei piloti kamikaze. Queste gli mostrarono i ricordi e le lettere dei loro cari scomparsi ed egli ha gentilmente fornito agli autori di questo libro le copie di quelle lettere, alcune delle quali esprimono, molto più chiaramente di quanto non avrebbero potuto fare le parole, i pensieri e i sentimenti dei piloti che si avviano alla morte.
In generale, quel poco che i piloti arruolati nei reparti speciali scrivevano, erano cose semplici e oneste. Anche gli ufficiali usciti dall’Accademia scrivevano molto poco, forse perché essendo perfettamente addestrati al concetto di comportarsi da guerrieri, accettavano senza discutere il loro destino.
Quelli che scrivevano di più erano gli ufficiali di complemento, provenienti dalle scuole civili e dalle università, e che avevano ricevuto soltanto un affrettato addestramento prima di essere assegnati ai reparti.
Poche lettere tipiche bastano a riassumere lo spirito dei piloti kamikaze.
Bisogna tenere ben presente che per molte centinaia di anni, mentre il codice del guerriero (Bushido), che sottolineava in maniera particolare la necessità di essere pronti a morire in qualunque momento, governava la condotta dei samurai, i mercanti, i contadini e gli artigiani adottavano correntemente principi analoghi che ribadivano i valore dell’indiscussa lealtà verso l’Imperatore, verso tutti i superiori e verso lo stesso popolo giapponese. In tal guisa, l’introduzione del principio kamikaze non fu per i giapponesi cosi tirante come avrebbe potuto esserlo in un paese occidentale.
Per di più, la convinzione della continuità della vita dopo la morte, in stretto legame con i vivi e con i morti, suscitava generalmente il pensiero che le conseguenze della morte fossero meno decisive e meno sgradevoli di quanto l’istinto potesse far sentire.
Nella lettera che segue Il tenente Nobuo Iscibasci, nativo di Saga nel Kyusciu settentrionale, era nato nel 1920 e faceva parte dello storme di Tsukuba prima di essere assegnato al Corpo Speciale di Attacco. Ecco la sua ultima lettera a casa.

Caro padre,

sembra che la primavera arrivi prima nel Kyushu meridionale: boccioli e fiori vi sono tutti bellissimi. Qui regna una gran pace e la massima tranquillità, benché questa sia zona di immediata retrovia.

La notte scorsa ho dormito bene e non ho neppure sognato. Mi sono svegliato con la mente limpida, sono in perfette condizioni di salute. Mi fa tanto piacere pensare che, in questo momento, siamo entrambi nella stessa isola.

Per favore, ricordati di me quando andrai al tempio e porgi i miei omaggi a tutti i nostri amici.

NOBUO

Mentre sto per levarmi in volo per lanciarmi contro il nemico, penso alla primavera giapponese.