Da eroi a delatori: i nuovi italiani

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Se è vero che, ora come non mai, dobbiamo tenere duro e rispettare le misure di contenimento dell’epidemia restando a casa, pure, si notano strani comportamenti emergere. Comportamenti che ci fanno sprofondare indietro di trent’anni, perché sembra di essere nella Germania dell’Est, con la Stasi e un esercito di spioni e delatori fin dentro casa. Negli ultimi giorni, infatti, al desiderio di prevenzione si è sostituita una certa voglia di repressione indistinta da “vigilantes della passeggiatina”, che spesso finisce esposta in tweet, post e stories di segnalazione di chi non rispetta il divieto (e la tanto decantata privacy? Vabbè…).
Magari costoro avrebbero anche delle ragioni plausibili e giustificate, ma nulla importa al delatore che, sempre più diffuso nelle nostre città, non aspetta altro che di poter denunciare il prossimo suo. E’ qualcosa di molto orwelliano, che sta avvenendo, con la complicità di una comunicazione pubblica che avalla psicologicamente questo tipo di comportamenti. Siamo passati, così, nel giro di neanche un mese da una comunicazione di massa in cui dovevamo tenere aperti i porti e le frontiere, tanto per dirne una, al plauso per chi denuncia il suo vicino di casa.

(tratto da wired.it) – Santi, poeti e delatori: la nuova Italia ossessionata da chi esce di casa. Certo che dobbiamo rimanerci tutti. Ma nelle ultime ore al desiderio di prevenzione si è sostituita una certa voglia di repressione indistinta da vigilantes della passeggiatina, finita in tweet, post e stories di segnalazione (anche di chi non ha altra scelta)

Ieri mattina ho ricevuto un’email al mio indirizzo di posta personale. Il mittente aveva un nome e un cognome che non conoscevo, né mi dicevano nulla di particolare, ma l’oggetto trasudava urgenza: “Leggi, persone e video fuori quarantena. GRAZIE”, maiuscolo compreso. Questa persona mi comunicava di essere in possesso di “un po’ di video, foto, e tuttora link video Instagram” di “ragazzi che fanno i bulli vantandosi che loro se ne fregano” della quarantena messa in piedi dal governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Il mittente della missiva si dilungava poi a spiegarmi di non voler avere nulla a che fare con l’eventuale prossima pubblicazione del materiale, che pure auspicava, spiegando di essere un padre di famiglia che aveva pensato di fare segnalazioni anonime alle forze dell’ordine, “ma non esiste nulla” (come sia passato con apparente naturalezza dal voler contattare gli organi di polizia allo scrivere ai giornalisti è un altro tema su cui si potrebbe riflettere, ma magari lo faremo un’altra volta).

Non ho motivo di dubitare della buona fede di questa persona, con ogni probabilità sinceramente preoccupata della tenuta e degli effetti della quarantena nella sua zona (citata nell’email, pur alla larga); certo è che la sua prospettiva si può inserire in un coro di voci molto più ampio – e ormai quasi assordante – che negli ultimi giorni ha monopolizzato cronache, tweet, post e stories: quello di chi mette alla berlina il nuovo Nemico nazionale, ovvero – indiscriminatamente – chi non sta a casa. Dal dalli all’untore siamo passati a un generico e generalizzante dalli al passante, che nel 2020 significa dossieraggi improvvisati a mezzo Instagram, foto rubate sui mezzi pubblici e per le strade, crucifige al telegiornale e persino lisergici interventi del sindaco di Roma durante la diretta televisiva di Barbara d’Urso in un parco dell’Urbe.

In buona sostanza, da quando si è scoperto che tanti italiani – com’era in parte fisiologicamente prevedibile – non stanno rispettando le direttive governative per combattere il coronavirus, il discorso pubblico intorno alla tenuta sociale del paese è diventato una specie di gara alla delazione a mezzo social network. Intendiamoci sull’ovvia premessa: è cosa buona e giusta – anzi, in questa fase direttamente vitale – che istituzioni ed esperti contribuiscano con decisione a comunicare quella che al momento è la più grande speranza di uscire dalla crisi, e nessuno può negare che chi trasgredisce alle regole mette a repentaglio la salute altrui. Ma siamo ben oltre questo, a guardarsi intorno durante le rare sortite o semplicemente scorrendo col dito i feed dei social network: ho visto in prima persona una madre e una figlia redarguite perché intente a camminare insieme su un marciapiede antistante un supermercato, e ho scorso reportage raffazzonati formato Instagram Stories che vorrebbero esporre possibili untori filmando ignari anziani in coda alle poste; tweet di giornalisti che esecrano i famigerati “assembramenti” sulla metropolitana di Milano il mattino presto; foto su Facebook di incolpevoli coppie a passeggio e, in generale, un clima che sa decisamente più di repressione che di prevenzione (a partire dal titolo in prima pagina del Corriere della Sera di ieri, che non a caso recitava: “«Troppi in giro, li puniremo»”). Come raccontato efficacemente nella peste manzoniana della Storia della colonna infame, gli uomini iniziano a dubitare dei loro simili, e poi finiscono per odiarli tout court, privandoli anche del mutuo riconoscimento di parti dello stesso corpo sociale.

Ripeto: è fondamentale, in questo momento, che chiunque rimanga in casa. Io sto a casa e chiunque conosco sta a casa, se è per questo. Ma quando la legittima necessità di limitare le trasgressioni di un provvedimento così importante diventa una specie di guardie e ladri giocato su scala nazionale, le cose rischiano di prendere una brutta piega. Non perché la disciplina non sia una componente fondamentale in fasi come questa, ma perché il ricercarla con questa ossessività – guardando sempre con sospetto ciò che fa il vicino, prima di porsi dubbi su se stessi – è l’anticamera di climi fondati sulla paranoia in cui proliferano i peggiori istinti, sui quali a loro volta si innestano le peggiori costruzioni politiche della storia dell’umanità. In una di queste ultime era ambientato Le vite degli altri, il film tedesco che mette in scena il torbido lavoro della Stasi a Berlino Est all’inizio degli anni ’80. È l’inflessibile capitano Gerd Wiesler a spiegare in una scena ai suoi studenti che: “Quelli che voi interrogherete sono nemici del socialismo, non dimenticatelo mai”.

E nei nostri interrogatori a colpi di condivisione anche noi, uomini e donne del 2020, sembriamo avere una fortissima voglia di trovare nemici: certo, spesso abbiamo ragione noi e non loro. Ma sarà pubblicando con ebbrezza punitiva generalità, volti e video dei trasgressori che riusciremo a farli ravvedere, a scongiurarne il potenziale pericolo? E poi: ci interessa che queste persone capiscano, o ci basta metterci dietro un vetro oscurato per giudicarle, ricevendo l’applauso dei nostri pari?

In Italia in questi giorni ci sono migliaia, forse centinaia di migliaia di irresponsabili che rischiano di fare danni (e d’altronde qualche giorno fa assistevamo ad assalti di supermercati e treni diretti al sud, a tutto vantaggio di Covid-19). Ma nemmeno in questo momento di sacrificio e insofferenza possiamo concederci il lusso di non sapere distinguere: ci sono infiniti motivi per cui un anziano solo, una donna vittima di violenza o una persona che soffre di una patologia psichica possono avere bisogno di chiudersi la porta alle spalle per una passeggiata. La Lombardia ha attivato un numero verde gratuito per i consulti psicologici, perché in casa impazzisco non è solo un modo di dire, e ci sono casi in cui non è affatto uno scherzo; e ancora: i pendolari delle sei e mezza del mattino sulla metropolitana milanese spesso non hanno altra scelta che continuare a lavorare, anche mentre noi siamo a casa in ferie e intenti a giocare ai vigilantes diurni. E Atm ha ridotto le corse: ecco spiegato l’assembramento.

Vivere in una società significa anche comprendere che non tutti gli esseri umani che abbiamo intorno sono trenta-quarantenni professionisti con una casa confortevole e pacifica, un lavoro minimamente elastico, una connessione a internet, un abbonamento a Netflix e una salute gestibile. Una frase estrapolata da un discorso di Vincenzo De Luca, lo ieratico governatore della Campania che in queste ore – dopo un’escalation di ordinanze regionali – ha addirittura invocato l’esercito, recita “se volete collaborare, bene; se volete le sciabole, meglio” ed è giustamente diventata famosa sotto forma di gif su internet. Ma siamo davvero pronti per le sciabole, e quel che significano? Mentre ce lo chiediamo, meglio tornare a Manzoni e alla sua celebre e precisa descrizione di quel che stiamo vivendo oggi, risalente al 1840: “Il sospetto e l’esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni”.